Chi apprezza la pesca dalla barca come traina e bolentino, dedica la propria attenzione alla cattura delle prede classiche di queste tecniche, considerando altre specie solo frutto di casualità. Ma da qualche anno a questa parte si è proposto all’attenzione dei pescatori un pesce a dir poco eccezionale, prerogativa nel passato solo dei pescatori subacquei. Siamo parlando della cernia.
L’alba di una mattina di primavera, la temperatura, pur non essendo ancora quella calda estiva, lascia ugualmente apprezzare a pieno le prime luci del giorno. E’ il momento ideale per tentare a traina le grosse spigole in ritardo con l’evoluzione della stagione o i dentici che dopo i torpori invernali intensificano la loro attività alimentare. Si battono le scogliere sommerse con batimetriche comprese tra i 15 e i 30 metri, e si cerca di far transitare le nostre esche quanto più possibili vicino al fondo. I pesci sembrano gradire soprattutto il vivo, non disdegnano il morto, ma attaccano con notevole foga anche gli artificiali, forse identificati comre intrusi da allontanare dal proprio territorio. Calate in mare le lenze, affondate in modo che sondino gli anfratti più promettenti si mantiene un andatura costante e una velocità proporzionata al tipo di esca. Improvvisamente una canna sussulta e poi si flette, segue una decisa ferrata, la sensazione di un qualcosa di animato che tira in maniera strana, poi lo slittare della frizione in modo costante e un secca e sorda resistenza: incaglio.
Si incomincia a forzare per liberare la lenza, e subito ci si rende conto che non è il piombo ad essere incagliato. Con la barca ci si porta sulla verticale e si continua a lavorare di canna, ma nulla da fare. Tra la fatica, e l’incredulo sguardo delle barche vicine che ci vedono armeggiare con una canna piegata all’inverosimile, si decide di tagliare. Si posa la canna nel suo alloggio e muniti di guanti si cerca un ultima volta di liberare l’incaglio.
La lenza improvvisamente si anima, ci sfugge dalle mani, è pesce. L’episodio ci coglie impreparati, si riafferra la canna, si serra la frizione si recupera lenza velocemente. L’arco deciso e il sussulto del cimino ci dicono che i giochi si sono riaperti, ma un rumore sordo echeggia nel silenzio della nostra concentrazione, la canna si raddrizza, la preda è persa. Si recupera così il terminale cercando di capire cosa possa essere successo. La lenza presenta delle abrasioni lunghe un paio di metri, come se si fosse insinuata tra le rocce prima dell’esca.
Episodi come questo succedono spesso a chi pesca con le esche radenti al fondo.
Spesso infatti le nostre insidie vengono aggredite da un grosso pesce che è solito lanciarsi in mezzo agli scogli o addirittura intanarsi se si sente minacciato, un grande predatore che si mette in caccia con il sole molto basso tra gli anfratti rocciosi: la cernia.
La cernia più di ogni altro predatore presente nei nostri mari ha spiccato il senso della territorialità. Questo la porta spesso a colpire le esche trainate con il muso, per allontanarle dal suo territorio di caccia. Tutte le specie di cernie conducono la propria vita a strettissimo contatto con il fondo, talvolta mimetizzate in mezzo alle rocce, altre volte immobili sulle alghe. La loro prerogativa di caccia è quella di compiere uno scatto fulmineo sulla preda da una postazione d’aspetto, per poi ritornare immediatamente al riparo. L’alimentazione delle cernie è la più svariata, sono molto ghiotte di seppie e polpi, ma mangiano volentieri tutti i pesci presenti sul fondo, con prevalenza per castagnole, perchie, minci, menole ed occhiate. La grande bocca, comunque, comune in tutte le specie, le consente di afferrare anche prede molto grandi, che poi inghiotte con calma una volta tornata alla postazione di caccia. Il dotto e la cernia dorata se rimangono ferrate ad un’esca trainata, cercheranno di lanciarsi in mezzo alle rocce per trovare riparo, ma non punteranno decise su un punto determinato. Se spostate dal fondo possono essere salpate senza eccessivi problemi, non opponendo una difesa troppo tenace e caratterizzata da fughe potenti.
Con la cernia comune invece, i problemi assumono dimensioni macroscopiche. Di solito attacca le esche trainate soltanto se le passano davanti o per allontanarle dalla propria area d’azione, ma una volta ferrata sentendosi minacciata, punta direttamente verso la tana sfregando con violenza il terminale tra le rocce.
Se non riesce a rompere il filo intanandosi, si incastra in tana rendendo impossibile il suo recupero.
Se viene ferrata a discreta distanza dalla tana è possibile si senta spaesata e tenti di intanarsi sotto un altro anfratto, questo potrebbe concedere alcuni attimi di tempo per recuperare alcuni metri di lenza e staccarla dal fondo. Le ore migliori in cui le cernie si mettono in caccia, sono quelle caratterizzate dal sole molto basso, quindi alba e tramonto.
La traina mirata esclusivamente alle cernie si effettua in Sicilia ed in Calabria, su fondali tra i 40 ed i 50 metri, affondando le esche con il downrigger se si pesca con esche artificiali e con il piombo guardiano se si pesca con il vivo.
Nelle altre regioni d’Italia, la cattura di una cernia avviene per lo più mentre si pesca il dentice su fondali misti di alga e roccia o sulle franate rocciose. La tecnica migliore per trainare alla cernia è quella con l’esca naturale morta.
Quella che ha dato i migliori risultati è risultata la seppia, in quanto molto gradita da questi predatori. Deve essere freschissima e conservare la sua livrea. S’ innescata con due ami del 7/0 uno dal basso verso l’alto sulla punta anteriore ed uno con la punta rivolta verso il basso inserito nella parte inferiore della testa. Si usano terminali dello 0,70 – 0,80 o pescando su fondali inferiori ai 30 metri dello 0,60 doppiato nella parte che coincide con l’esca. Come esche morte può essere usato anche il calamaro, che però se trainato molto lentamente è come la seppia, facile preda di tanute e pagelli.
Data la potente fuga iniziale della cernia bisogna impiegare attrezzi da 30 o 50 libbre, usando preferibilmente canne stand-up, per avere il modo di spostare immediatamente dal fondo la preda appena allamata. La traina con l’esca naturale va effettuata con il piombo guardiano ad una velocità bassissima, in modo da far ispezionare all’esca tutti gli anfratti e di portarla in pesca a strettissimo contatto con il fondo. Una volta raggiunta la zona che si presume buona, conviene pescare con la canna in mano e non appena si avverte l’attacco della cernia, caratterizzato da una poderosa testata verso il fondo, si deve cercare di spostare immediatamente il pesce verso la superficie.
er raggiungere le profondità di caccia delle cernie bisogna spesso impiegare piombature nell’ordine dei 750 – 1000 grammi. Pescando con le esche artificiali si è notata una particolare preferenza per i minnow di buone dimensioni (14 e 18 cm) con colorazioni molto sgargianti, che ricordano i piccoli pesci presenti sul fondo (perchie e minci). Anche in questo caso le esche dovranno radere il fondo, per andare a cercare le cernie nelle loro postazioni di caccia. Dato che la cernia attacca le prede per lo più dal fondo verso la superficie, è risultato molto catturante affondare le esche con il monel. Il monel come è facile immaginare, naviga al di sopra dell’esca, al contrario delle piombature dirette o della palla del downrigger che navigano più o meno alla stessa profondità.
Questo è forse uno dei motivi che porta le cernie ad attaccare più volentieri le esche trainate con tale sistema. Pescando con il monel, invece, si deve tenere la frizione molto dura per evitare che il pesce si prenda troppa lenza intanandosi. Questo porta a dover usare terminali di diametro grande (0,70 – 0,80) per evitare che si rompano sulla ferrata. Trainando esche vive, è possibile catturare la cernia sia con cefalopodi vari, che con aguglie, occhiate o muggini. Il periodo in cui si verificano il maggior numero di catture va da aprile ad agosto.