Chi è pratico di surfcasting sa bene che per la riuscita di questo sport occorre essere dei bravi lanciatori. D’altronde il surfcasting è una tipica pesca al lancio (forse tra queste è proprio la regina) e le avverse condizioni in cui si pratica impongono gittate ottenibili soltanto con corrette e sofisticate tecniche di lancio. Con ciò non siamo autorizzati a pensare che nel surfcasting occorre sempre e comunque lanciare il più lontano possibile. Diciamo che a volte se ne sente la necessità e se non si e capaci la battuta si complica non poco.
Le moderne tecniche di lancio e gli attrezzi più adatti consentono gittate fuori dal comune addirittura superiori ai 250 metri. Ma noi non dobbiamo sentirci delle schiappe se le nostre esche non riescono a varcare neanche la soglia dei 100 metri. In tutto il mondo sono pochi i lanciatori che riescono a superare i «250» e questo naturalmente nelle gare di gittata.
A pesca una buona media, anzi ottima, credo che si possa ricercare intorno ai 100-120 metri. Naturalmente si parla di condizioni «tipo», per arrivarci occorre tener presenti alcuni piccoli fattori indispensabili per avere successo. Quello fondamentale e più importante è che per un lancio che si rispetti bisogna coinvolgere il maggiore numero di muscoli ma soprattutto i più importanti e resistenti e tutto il peso del corpo. Del resto, senza andare troppo lontano, è sufficiente dare uno sguardo alle altre tecniche di lancio, sicuramente più
popolari, che sono arrivate anche alle Olimpiadi. Il lancio del giavellotto in particolare, tecnica guida secondo i migliori surfcasters, che molto ha in comune con il nostro lancio, non si limita ad impiegare la forza delle braccia anzi si carica di potenza per l’intervento di tutto il corpo. Allo stesso modo le nostre gittate saranno tanto più importanti quanto più la tecnica di lancio riuscirà a coinvolgere il corpo nel suo insieme. Naturalmente prima di avere una perfetta padronanza dei movimenti, dei tempi e quindi della tecnica migliore, occorre fare un serio allenamento che per gradi ci porti ai risultati prefissati. Perché questi arrivino però occorre studiare bene la propria attrezzatura, sapere come risponde alle sollecitazioni ed essere quindi certi di sfruttarla al massimo. Il mulinello, per esempio, specialmente quello a tamburo rotante deve essere ben tarato ed equilibrato alla canna ed alla zavorra. La canna invece deve essere maltrattata finché non riusciremo a «caricarla». Per ottenere il massimo dobbiamo infatti vincere la sua elasticità e arrivare al punto in cui questa si blocca e risponde come se fosse un bastone rigido, senza più nessuna proprietà elastica.
A questa condizione non sfugge nessuna canna, per nessuna tecnica di lancio, ma ciò non ci spaventi.
In commercio esistono migliaia di canne, più o meno lunghe, più o meno robuste, più o meno potenti e tra queste c’è sicuramente anche quella che fa per noi. L’importante è trovarne una della nostra taglia e adoperarla con una tecnica di lancio che gli si con- venga e che ci sia congeniale. Del resto non è necessario neanche essere dei supermen o dei superdotati. La maggior parte delle volte è sufficiente un po’ di coordinazione nei movimenti e le gittate vengono fuori da sole. E non ci si stupisca se dopo i primi tentativi risulterà facile guadagnare metro su metro. Passare da una gittata di 70 metri ad una di 100 con un buon allenamento e un buon maestro, è una cosa fattibile per tutti. Le cose si complicano oltre questo limite. Passare da 100 a 120 metri comincia ad essere una cosa impegnativa, superarli, poi, è un traguardo che si raggiunge pian piano e con uno sforzo veramente sproporzionato rispetto a quello che c’è voluto per varcare la soglia dei 100.
Diventare dei veri campioni o comunque degli ottimi lanciatori capaci di scaraventare le esche a 120 metri vuol dire anche vincere quel fattore psicologico negativo che si abbatte su chiunque nel momento in cui gli sforzi non sono più proporzionali ai risultati. A questo punto la carta vincente è la costanza, una caratteristica comune ai campioni
Per diventare così «capaci» occorre usare anche la testa e memorizzare tutti i fenomeni che interferiscono sulla gittata, sia a pesca che in pedana di lancio. Un discorso serio non prescinde da una pur sommaria conoscenza dei fenomeni puramente balistici. E cosi si scopre che le migliori gittate si ottengono con un angolo di proiezione di circa 40 gradi.
Variazioni in più о in meno dipendono in grande parte dalla velocità iniziale del piombo e dalla resistenza dell’aria, resistenza che viene esercitata non solo sul piombo ma anche sul nylon. Nei due sistemi, fisso e rotante, la velocità iniziale del lancio non è uguale ecco perché l’angolo di proiezione del rotante è superiore a quello del più veloce fisso. Il vento, che può essere assimilato dal fattore «resistenza dell’aria», ha anch’esso un ruolo molto importante sulla traiettoria del piombo. Quando è a favore, la resistenza diminuisce e quindi la parabola si avvicina a quella ottimale nel vuoto (45°) dove l’unico fattore che interviene sulla gittata è la forza di gravità.
Nel caso nostro invece, a pesca, il vento è contrario e quindi il discorso è ribaltato. L’angolo di proiezione diminuisce e questa volta anche sensibilmente. Per questa estrema semplificazione non me ne vogliano gli esperti, del resto non è la mia materia, ma me ne scuso fin d’ora. Per quanto riguarda noi pescatori, e qui gli esperti balistici non ci possono metter lingua, sarà quindi sufficiente controllare il momento dello «stacco» e anticiparlo di un pelino in caso di vento a favore e ritardarlo se il vento ce l’abbiamo in faccia. Un’attenzione particolare va riservata al diametro del nylon, specialmente per quanto riguarda il mulinello a tamburo fisso. Passare da un filo spesso mm 0,50 a uno grosso la metà significa guadagnare anche il 30% sulla gittata. A pesca difficilmente sarà possibile operare simili riduzioni ma sarà nostra cura utilizzare sempre il nylon più sottile naturalmente in compatibilità con le esigenze del momento. Anche il piombo riveste una grande importanza. La forma più indicata è quella filante del «bomb» sia nella versione «sea» che in quella beach.
Above Cast
Se è vero che tutte le tecniche di lancio concorrono ad una evoluzione nella quale tecnica e performance puntano a risultati sempre migliori e anche vero che ogni stile ha un suo preciso fine ed una peculiare fisionomia. Si può dire che la storia del lancio passi attraverso tre tecniche fondamentali: la prima è l’above cast, stile base dal quale si sono sviluppate tutte le altre; la seconda è il side cast, una tecnica molto popolare che oltre le braccia impegna anche parte del corpo; la terza è il ground cast, il punto d’arrivo che coordina la forza delle braccia e quella del corpo… Più in là vedremo che tutto ciò ha già un seguito ma per rientrare nel seminato ci soffermiamo su una tecnica particolare che ha fini diversi da quelli della sola gittata: l’above cast. Il suo fine primo è quello della precisione e cioè consentire al pescatore di posizionare le esche in un punto stabilito con confini molto ristretti. Ecco che non si parla più di 130 o 150 metri di gittata. Questi numeri vengono sensibilmente ridimensionati a favore di un’azione calibrata che ci consente però una gittata ed una traiettoria precise.
Si tratta di una tecnica necessaria che ci consente di insistere, lancio dopo lancio, sul filo di un canalone, sul bordo di un frangente o su quello di un banco di sabbia. Con l’above cast è quindi possibile centrare la «buca» al millimetro anche di notte e non per una sola volta ma per due, tre e quante fossero necessarie per sfruttare una situazione che risulta profittevole pur senza l’aiuto di una gittata da superman.
Ma è giunto il momento di scendere nei particolari e commentare l’above cast. La posizione di partenza dichiara già dall’inizio quale sarà l’impegno del corpo e le posizioni successive confermano che l’above è un lancio che si effettua con il solo sforzo delle braccia senza quasi nessun coinvolgimento del corpo. Da qui l’impossibilità di ottenere gittate importanti ma an- che la catena di una grande precisione. Vista la posizione «comoda» delle gambe e la non curvatura del busto, il baricentro risiede sull’asse ed è quindi impossibile anche in fase avanzata di lancio un notevole impegno del corpo.
La dinamica è caratteristica perché tutta l’azione muove sopra la testa e verso un’unica direzione, quella del mare. Nonostante la scarsa energia applicata si rende sempre necessario, a fine lancio e solo con l’uso dei mulinelli a tamburo fisso, il controllo della spinta inerziale negativa, l’unica difficoltà che si presenta per la pratica di questo stile. Le canne più adatte sono quelle ad azione parabolica, meglio ancora se non troppo rigide ma di una lunghezza di almeno quattro metri e peso contenuto.
Side Cast
Il side cast è la tradizionale tecnica di lancio che ci ha introdotto e «conservato» nel mondo del surfcasting.
Questo perché, sia pure sotto diversi nomi, il side cast è sicuramente lo stile di lancio che tuttora gode della fiducia della maggioranza dei pescatori di tutto il mondo. Ma anche perché, in Italia, in questi ultimi anni, anziché battere la strada delle novità si è lavorato sulle vecchie conoscenze perfezionando il side cast in modo particolare.
In definitiva se da un lato siamo stati insensibili alle innovazioni più moderne, dall’altra abbiamo consentito alle «tradizioni» di non farsi superare dai tempi proponendo valide argomentazioni capaci di misurarsi anche sui campi di gara.
L’Italia è l’unica nazione che ha spremuto fino in fondo il side cast ed è proprio per questo che detta tecnica di lancio è ormai entrata a fare parte della tradizione anche nei suoi aspetti più caratteristici e specialistici. Uno di questi, rincorsa, si è diffuso in tutta la penisola con due funzioni precise. La prima è quella di conferire velocità all’azione, la seconda è quella di sfruttare lo spazio a volte notevole che l’onda di reflusso concede prima che monti la successiva. Nelle gare di lancio si è stabilito che la «rincorsa» conferisce alla gittata un apporto valutabile intorno al 10070.
Descrivere la dinamica del lancio è sempre un compito arduo che mai riuscirà ad accontentare il neofita. Risulta essere molto importante l’impostazione di base dalla quale poi partirà l’azione vera e propria.
Una particolare attenzione vada al mulinello e alla sua posizione. Questo sta sopra la canna perché il polso non deve articolare ma fare un tutt’uno con l’avambraccio in modo da non creare «angoli» che disperdono energia. L’avambraccio sinistro ha la stessa inclinazione della canna e così pure le spalle.
Il peso del corpo deve poi essere spostato sulla gamba sinistra quando siamo prossimi allo «staco».
La rigidità del braccio deve poi opporsi alla caduta in avanti della canna per effetto dell’inerzia.
In apertura abbiamo parlato della rincorsa come elemento fondamentale e caratteristico di questa tecnica, in quale contesto si inserisce? La tecnica vera e propria, va eseguito dopo una lunga e veloce rincorsa che si arresta bruscamente per il caricamento della canna e lo stacco. Mai come in questa occasione acquista importanza il modo in cui si trattiene il nylon che esce dal mulinello. Naturalmente mi riferisco al tamburo fisso e a quel dito, l’indice, che già in altre occasioni abbiamo avuto modo di «inquadrare». Questo impedisce la fuoriuscita del nylon fino allo stacco perché si interpone tra la bobina e il piombo. Risulta essere indispensabile che rimanga staccato dalla canna perche diversamente, nella foga della rincorsa, non potrebbe regolare la tensione del nylon in funzione dei sobbalzi del piombo. Il side-cast è una tecnica di lancio di buona potenza e grande facilità che si colloca, in ordine di importanza, tra il ground cast e l’above cast. Non si tratta quindi di uno stile particolarmente sofisticato e il successo che ha riscontrato e che tuttora riscontra è da riferire soprattutto alla sua praticità, alle sue buone performance e alla sua adattabilità ai vari terreni. Е’ uno dei tanti stili definibili «appoggiati», per differenziarli da quelli «pendolari», che si rivolge soprattutto agli amanti del mulinello a tamburo fisso. Il suo limitato arco d’azione non permette infatti al tamburo rotante di
acquistare sufficiente energia per ottenere soddisfacenti risultati. Le canne che vanno per la maggiore sono di lunghezza compresa tra i m 4 e i m 4,50.
Possono essere a innesti o telescopiche con azione piuttosto rigida e veloce. Considerando la particolare affinità di questo stile con il mulinello «fisso» saranno preferibili le canne dotate di anelli guidafilo di grosso diametro.
Ground Cast
Tra le diverse classificazioni in uso, in materia di tecniche di lancio, credo che la più importante sia quella che divide i lanci cosiddetti «pendolari» da quelli «appoggiati». I primi sono quelli che prevedono una oscillazione del piombo prima del lancio; i secondi
invece non necessitano di nessuna manovra preparatoria ed il piombo sta lì, sul suolo, in attesa della partenza. Tra questi ultimi lo stile più completo, più evoluto e se vogliamo anche il più nuovo, è il ground cast. Esso prende il nome dal fatto che il piombo
e appoggiato al suolo e per un po’ striscia su di esso facilitando il caricamento della canna. Risulta essere definito uno stile completo perché riassume in sé tre caratteristiche fondamentali: velocità d’azione, impegno dei muscoli importanti e sfruttamento del peso del corpo. In pratica non gli manca niente per regalare gittate record. Risulta essere curioso notare come questo stile si sia sviluppato in aree diverse del globo quale logica evoluzione dell’above e del side cast. L’unica differenza tra il ground inglese, sudafricano ed italiano, per citarne alcuni che spesso ricorrono parlando di surfcasting, è l’attrezzatura, e la canna in particolare.
Gli inglesi, probabilmente influenzati dal «pendulum» e dal loro modo raffinato di praticare il surf, utilizzano le canne a ripartizione di sezioni, le stesse usate per il famoso lancio pendolare. Molto esperti nei giochi d’equilibrio, i cugini d’oltre Manica puntano tutto sulla velocità e sulla leggerezza delle zavorre.
Ecco che si spiega il perché di queste canne, lunghe soltanto tre metri e mezzo. I sudafricani invece sono abituati a pescare con canne di quattro metri circa e ciò per 50pportare le grosse zavorre e le grosse esche imposte dal loro stile di pesca.
Ma anche perché è loro costume trovare una soluzione per tutti i problemi e quindi adattare un attrezzo a tutti gli stili di lancio e le tecniche di pesca.
Per finire in crescendo arriviamo noi, gli italiani. Quattro metri e mezzo di canna e per giunta ad azione parabolica. Questa differenza nella lunghezza e nell’azione è determinata solo da un fattore temporale. In pratica non abbiamo ancora avuto modo di adeguare gli attrezzi alle Sopravvenute necessità.
Quattro metri e mezzo rappresentano ancor oggi la soluzione più usata e sicuramente la più valida ma soltanto perché non siamo ancora pronti. L’azione è invece quella di sempre, quella alla quale ci siamo rimessi fin dai tempi più antichi nella storia del surf-
casting: la parabolica. Il nostro mercato non ha un’alternativa da proporre e soltanto adesso sembra voglia uscire da un secolare letargo. Ma a prescindere da tutte queste considerazioni e dallo stato attuale delle cose nei vari Paesi ciò che conta è che tutti, chi prima chi poi, sono arrivati alla medesima conclusione: il ground cast.
La maggiore potenza di questo stile è dovuta alla maggiore corsa della canna e del piombo. Ci si è arrivati, almeno qui in Italia, per favorire le performance del mulinello a tamburo rotante che rispetto al fisso necessita di uno «stacco» (quando si libera il nylon e il piombo inizia a volare) anticipato. Trasportare poi lo stesso stile anche al mulinello a tamburo fisso è stato un tutt’uno. Nella dinamica del «ground» la posizione di partenza è sicuramente la più discussa e quindi quella che subisce maggiormente le influenze locali, anche
se poi tutto si risolve nella posizione a terra del piombo Letto che la quantità di nylon che fuoriesce dal vettino varia dal metro al metro e mezzo, rimane da stabilire che angolazione deve avere la canna rispetto alla direzione del lancio e che angolazione deve
avere il nylon che fuoriesce dal vettino rispetto alla canna stessa. inutile dire che maggiore è l’ampiezza totale del lancio, maggiore è la potenza fisica impiegabile e quindi maggiori saranno anche i risultati.
Inizialmente il lanciatore è disposto trasversalmente rispetto alla battigia con il peso del corpo caricato sulla gamba destra. in questo caso, e quindi con un’ampiezza di lancio di circa 225°, il busto è ruotato verso destra rispetto alle gambe mentre le spalle seguono la stessa inclinazione della canna. Nella fase successiva il busto è sullo stesso asse delle gambe e non più ruotato verso destra come nella fase precedente. Anche la canna si è allineata, ma si tratta soltanto di un rientro- L’azione più tipica del ground è la lateralizzazione. Risulta essere in questo momento che il lancio prende forma, e in questo momento che si decide se continuare o desistere. Soltanto adesso si capisce se braccia e busto sono pronti per allinearsi con le gambe di fronte al mare e prepararsi per lo stacco. Nella
fase successiva occorre riportare la canna in traiettoria per il giusto alzo. A questo punto si sviluppa tutta la potenza, manca solo il colpo di frusta che avviene nell’ultima fase. Qui il braccio destro compie l’ultimo sforzo aiutato dal «rientro» del sinistro.
Quindi, lo stacco. Qualche secondo in posizione, con la canna sollevata a circa quaranta gradi per non ostacolare la fuoriuscita del nylon, e il gioco è fatto. Rivedendo il tutto al rallentatore e ripensando al sincronismo tra gambe e busto, alla traiettoria della canna, ai problemi di alzo, al colpo di frusta, al’ampiezza del lancio, ai 270°, si scopre che tra il «ground» e il «pendulum» esiste una grande affinità. Si potrebbe anche dire che il «ground» altro non è che la seconda metà del lancio pendolare. Dalla posizione più bassa che può assumere la canna nel
pendulum, allo stacco, è evidente una grandissima rassomiglianza e una sicura ripetizione degli stessi intenti e problemi. Allo stesso modo del pendulum, il ground può considerarsi riuscito quando nello stacco si ha la netta sensazione del «colpo di frusta».
Se siamo sicuri che il lancio viene chiuso con l’avanzamento del braccio destro e l’arretramento del sinistro, contemporaneamente allora abbiamo buone probabilità di successo e la garanzia di essere sulla strada giusta per il corretto utilizzo del mulinello a tamburo rotante.
Lancio Pendolare
Così come altre discipline anche il surfcasting è indirizzato verso una pratica veramente sportiva e se un grazie lo dobbiamo a qualcuno, fra questi c’è anche il lancio pendolare.
Le sue origini si attribuiscono a Leslie Moncrieff, il primo a capire che per ottenere maggiori gittate occorreva aumentare l’angolo di rotazione del lancio. Ai suoi successi seguirono quelli di George Brown e Nigel Forrest, anche loro meritevoli per aver affinato la tecnica suggerita da Moncrieff.
Per iniziare occorre trovare uno spazio adatto, ampio e libero dal più curioso spettatore.
Andrà bene una spiaggia con l’arenile regolare. Inutile tentare il lancio completo se prima non si è padroni di un momento fondamentale: il pendolo.
Azzeccare questa manovra vuol dire avere l’ottantaper cento di probabilità che il lancio riesca, attenzione quindi ai suggerimenti che verranno appresso. inizialmente per acquisire una certa fluidità nei movimenti è meglio provare senza il piombo. Si tratta quindi di muovere le braccia e la canna immaginando che la zavorra pendoli secondo i nostri comandi. Anche in questa simulazione occorre assumere la posizione adatta. Iniziamo dai piedi. Quello sinistro è parallelo alla battigia, quello destro è aperto fino a formare un angolo di 45 gradi. Il peso del corpo è caricato sulla gamba destra.
Il busto è forzatamente ruotato verso destra. Il braccio destro è raccolto, quello sinistro disteso. La canna e verticale o quasi, appena inclinata verso destra.
Il piombo si troverebbe a poche decine di centimetri (50-60) dalla spalla destra all’altezza degli occhi.
Questa è la posizione di partenza. Un attimo di concentrazione e via col braccio destro. Questo si allunga e spinge la canna in avanti fino a 45° dalla perpendicolare e oltre.
A questo punto per richiamare la canna non si agisce solo sul braccio destro ma anche sul sinistro. Solo allungando questo, ce ne renderemo conto poi con il piombo, si riesce a sviluppare quella velocità indispensabile al piombo per un corretto pendulum.
La mano destra funziona quindi da fulcro e si ritrae appena, giusto il tanto per non ostacolare la corsa della canna che deve arrivare a pochi gradi dalla perpendicolare. Questo movimento va ripetuto diverse volte finché saremo sicuri di aver acquisito la
giusta coordinazione. II secondo passo, quello che сі avvicina al lancio completo, è lo stesso tentativo con l’aggiunta della zavorra. Inutile dire che la posizione di partenza è la stessa. Questa volta abbiamo in più una coda, cioè il nylon che fuoriesce-dal
vettino, lunga almeno m 2,5. Ci rifacciamo pertanto sempre ai primi tre fotogrammi. E non ci si faccia ingannare dal tipo di mulinello in uso, il «pendulum» è uno stile di lancio che si presta allo stesso modo anche col mulinello a tamburo fisso.
Dalla posizione di partenza rimandiamo quindi la canna in avanti secondo le modalità appena viste, spingendo il piombo finché la coda non forma con la canna un angolo di 90-120 gradi. Poi mandando in avanti il braccio sinistro si fa rientrare il piombo,
per la stessa strada, e ancora, dietro le nostre spalle, fino al punto in cui questo supera abbondantemente l’altezza della canna che si è bloccata a pochi gradi dalla perpendicolare. Questo esercizio termina nel momento in cui non si avverte più la trazione
del piombo sulla canna, momento che coincide con la massima altezza raggiunta dal piombo nella sua corsa, alle nostre spalle. Questo è il pendolo.
Allenarsi al pendolo è molto importante perché di notte dobbiamo essere in grado di raggiungere il meglio già al primo tentativo. Se sbagliamo questa fase conviene fermarsi e ripartire dall’inizio senza ritentare il lancio sulle ceneri di quello precdente. E’ per questo che bisogna conferire velocità al piombo già dal primo tentativo senza farlo oscillare diverse volte come fosse un’altalena. Passiamo adesso alla seconda fase. Il braccio sinistro rimane teso e segue la rotazione del busto, il destro spinge la canna verso il basso. Il peso del corpo è sempre sulla gamba destra.
Le spalle oltre a seguire la torsione del busto compiono un movimento di saliscendi che spinge la canna, ormai solidale alla rigidità delle braccia, a muoversi prima verso il basso e poi verso l’alto. Intanto il piombo segue a distanza i movimenti della canna arrivando molto vicino al suolo. Vi renderete conto nella pratica di quanto vicino possa essere, non stupitevi quindi se all’inizio i vostri lanci saranno compromessi proprio perché il piombo toccherà il suolo. Non siamo abituati ad una coda lunga quasi tre metri e non ci viene naturale immaginarci la sua giusta proiezione nello spazio secondo l’inclinazione della canna.
Il peso del corpo viene poi trasferito sull’altra gamba e al momento dello stacco sarà passato completamente sulla sinistra. Perché questo lancio sia chiuso perfettamente dobbiamo mantenere le braccia distanti dal busto in modo che alla fine si possa dare l’ultimo strattone alla canna con l’avanzamento del braccio destro e l’arretramento di quello sinistro.
Avrete capito senz’altro che si tratta di uno stile molto tecnico, spettacolare e riuscitissimo. Il segreto stanella perfetta scelta del tempo e nella velocità. E’ essenziale, lo ripeto, una corretta esecuzione del pendolo ed è altrettanto essenziale che si passi alla fase di rotazione (piroetta) nel momento in cui il piombo smette di farsi sentire sulla canna. Per questa tecnica di lancio è indispensabile l’uso delle canne a ripartizione di sezioni e cioè quegli attrezzi dotati di una particolare azione di punta conferitagli da speciali tecniche costruttive. La misura
delle canne può variare dai m 3,30 ai quasi quattro metri.
Le più corte si adattano ad azioni veloci e coordinate, le più lunghe a soggetti dotati di notevole forza muscolare e prestanza fisica.
Back Cast
Questo stile di lancio è un fenomeno sviluppatosi intorno a Great Yarmouth, una cittadina costiera del Norfolk, nell’Inghilterra orientale, spesso alla ribalta con i più grossi nomi del surfcasting internazionale. In effetti le spiagge a degrado relativamente lento di quella zona hanno sempre impegnato i surfcaster locali nello sviluppo di tecniche di lancio particolarmente evolute e sofisticate tanto da consentirgli di avere la meglio sui grossi merluzzi che pascolano a buona distanza dalla costa. Niente di strano quindi se qualcuno preferisce chiamare il back
«Great Yarmouth» o «Norfolk» style.
Comunque la si voglia ricordare, si tratta di una tecnica non molto veloce ma estremamente potente in cui i muscoli delle gambe, delle braccia e del tronco concorrono simultaneamente in uno stile capace di muovere canne di un certo peso e lunghezza per scaraventare a distanze ragguardevoli zavorre di peso notevole. Ed è proprio per le performance in questa fascia operativa (180-220 grammi) che il back assume molta importanza; importanza che in certi casi raggiunge sicuramente livelli assoluti. Particolarissimo è il mulinello che per questa tecnica è montato
a circa 30 centimetri dal bordo inferiore della canna, un south cast fisso e non rotante, al contrario di come siamo abituati. E benché non esistano grandi controindicazioni all’uso del rotante in generale, non bisogna dimenticare che il back emerge soprattutto con zavorre pesanti intorno ai due etti, pesi che certamente non si addicono ai piccoli rotanti nor malmente in uso nel surfcasting.
Il problema è trattenere la minuscola bobina sotto la trazione di piombi così pesanti. D’altra parte utilizzare un rotante più grosso e quindi una bobina più pesante significa rinunciare a grane3 parte della gittata. Ci vada bene o no, sembra che con questa tecnica di lancio il fisso abbia più successo del rotante. Le canne più usate sono in due pezzi, molto robuste, con un manico piuttosto lungo ed un cimino di due metri e mezzo circa. In tutto raggiungono anche i quattro metri e cinquanta e difficilmente vanno al di sotto dei quattro metri. E’ evidente che devono sopperire con la lunghezza del «braccio» alla mancanza di velocità nell’azione.
I materiali non sono «ricchi», di solito il cimino è in fibra di vetro, conolon o altro, mentre il manico, secondo i più affermati sostenitori di questa tecnica, deve essere in alluminio. Gli anelli guidafilo non devono essere necessariamente di grosso diametro perché il manico rigido e la notevole distanza tra mulinello e primo anello (2 metri e anche più) favoriscono il passaggio del nylon o perlomeno non lo ostacolano come avviene sulle canne tradizionali, stranamente e da noi tanto apprezzate. L’azione è veloce e tipicamente di punta.
Completamente inutile andare alla ricerca di una canna simile perché in Italia non ne è mai entrato un solo esemplare. Come al solito dovremo ricorrere ad un surrogato evitando di fissarci sui materiali ma assicurandoci di trovare un prodotto robusto e veloce con un manico rigido e un cimino morbido.
La soluzione più probabile è una canna ad innesti in tre pezzi (quasi impossibile trovarne una in due soli pezzi) alla quale bisognerà applicare una piastra portamulinello ad un’altezza adeguata alle nostre caratteristiche fisiche, più o meno a circa trenta centimetri dal manico. Sarà poi la pratica, nel lancio, a suggerirci l’esatta posizione. Gli anelli guidafilo possono restare al loro posto. L’«abbassamento» del mulinello lascia infatti spazio perché le spire si restringano prima dell’impatto più pericoloso, quello con il primo anello. A questo punto dovremmo essere pronti per i primi tentativi. Come per tutti i pendolari troveremo un luogo poco frequentato dove difficilmente un piombo solitario e svolazzante riuscirà a combinare dei guai alle cose e alle persone.
Fare amicizia col «fisso» in posizione south cast è roba da niente, si tratta soltanto di trattenere il filo con l’indice della mano sinistra anziché della destra.
Liberiamo un bel po’ di nylon finché il piombo arriva all’altezza del mulinello o quasi. Naturalmente per l’occasione avremo cura di allungare il parastrappi (shock leader) fino a circa 10 metri.
La posizione del surfcaster è con le spalle rivolte al mare, le gambe leggermente divaricate e flesse. La canna è appoggiata sull’anca destra, quasi perpendicolare al suolo, «rivolta» verso la direzione del pendolo e quindi verso destra e verso l’avanti. A questo punto chi conoscesse già il «pendulum» non troverà difficoltà perché la corsa del piombo è esattamente la stessa. I tempi, le pause, il pendolo, sono esattamente gli stessi. Dalla posizione verticale di partenza la canna si sposta in avanti fino a 45 gradi dalla perpendicolare e quando questa forma un angolo di 90 gradi con la lenza che fuoriesce dal vettino si richiama all’indietro la canna fino alla posizione di partenza. Occorre imprimere una certa velocità all’azione in modo che il piombo nella sua corsa alle nostre spalle abbia la forza di risalire tanto da superare in altezza la punta della canna. Ciò
che abbiamo fatto fino ad ora non è altro che lo sviluppo della fase pendolare ossia il moto di andirivieni del piombo che come già detto è in tutto simile a quello della tecnica definita “pendulum”. Ripeto ancora una volta che questa fase è di vitale importanza per la riuscita del lancio, in un caso e nell’altro. Nel back dobbiamo essere sicuri che in uscita, ossia quando richiamiamo il piombo dalle nostre spalle, il manico della canna poggi ancora sull’anca destra. Ma riprendiamo il discorso dal punto in cui lo abbiamo lasciato. Il piombo è adesso dietro di noi, abbastanza alto da non sentirne il peso. E’ come se tra zavorra e canna non ci fosse più un tramite. E’ il segnale di via. A questa pausa dobbiamo rispondere energicamente richiamando il piombo davanti alla canna punta quindi verso il basso da destra verso sinistra. Il piombo si sposta velocemente davanti a noi verso il basso. Le gambe flettono ancora per trovarsi caricate in seguito. Adesso inizia la risalita. Il manico della canna preme sulla fossa iliaca, il piombo passa alla nostra sinistra, sempre davanti a noi e proiettato verso l’alto. Inizia il conto alla rovescia. Il braccio destro sfoga con brutalità tutta la forza a disposizione tirando la canna verso il petto. Intanto le gambe iniziano a lavorare in positivo e così pure il tronco. Alla fine con una piccola rotazione del busto, braccia gambe e tronco danno un ultimo scatto, il manico è catapultato fuori dalla sede iliaca, l’indice libera il nylon e il piombo schizza via come un proiettile. Come vedremo, questo back è in grado di conferire al piombo una traiettoria molto alta. Ed è per questa ragione che i pescatori dell’East Anglia sostenuti in pesca da un buon vento alle spalle riescono ad ottenere con questo stile di lancio gittate davvero considerevoli.
Un’altra ragione che invita al back cast è la possibilità di mettere in pesca calamenti voluminosi e pesanti. Una trancia di muggine che ricopre un amo del 5/0, per raggiungere una certa distanza dalla ri- va, magari controvento, ha bisogno di una zavorra pesante come solo il back è capace di far volare. E se volessimo rispolverare il vecchio calamento stan- dard a tre ami? Ricordate? Tre esche diverse su tre ami diversi. Un peso e un volume inaccettabili per qualsiasi altra tecnica di lancio, ma non per il back. E vogliamo anche calcolare la praticità e la
semplicità del lancio? Anche se a prima vista non si direbbe, il back si impara molto presto. Non richiede grandi spazi e soprattutto si effettua con i piedi fermi sempre nello stesso punto.
In definitiva, il back deve fare parte del nostro bagaglio tecnico perché in certe condizioni di pesca si rivela vincente.
Per quanto riguarda l’aspetto puramente sportivo del lancio bisogna dire che è una tecnica che fa emergere la forza bruta e si adatta quindi a chi non può sfruttare il pendulum per mancanza di velocità e coordinazione.