Si può alternare alla pesca di postazione quella di ricerca, soprattutto quando si rischia di trasformarsi da “cacciatori” in “cacciati”. Vediamo come.
Cacciati nel senso di cacciati via, poiché nei porti italiani vige ancora un generico divieto di pesca che, se riferito al cannista sportivo, appare alquanto immotivato. Non si comprende, infatti, per quale ragione chi opera alla luce del sole, nel rispetto della normativa che limita le catture, senza causare danno o intralcio ad alcuno, non possa starsene in santa pace a pescare in banchina. Il paradosso è che poi nello stesso specchio d’acqua accade che vengano mollate e salpate nottetempo centinaia di metri di tramagli, che vi galleggino olio, nafta, cassette di polistirolo, buste di plastica ed ogni genere di pattume senza che si attivi una efficace repressione contro i responsabili, che non sono certo i cannisti sportivi. Ecco perché ci sono banchine sulle quali non vale la pena montare panchetto, nassa, secchio, porta pastura, sistemare fodero pieno di canne, borsone degli accessori; così facendo si diventa il facile bersaglio (fin troppo facile) dell’autorità portuale, che non sempre si mostra comprensiva e disposta a chiudere un occhio. Il risultato è che siamo costretti, in questo caso, a caricarci addosso tutto l’armamentario che ci circonda, il che non è piacevole, e a spostarci con difficoltà in altro sito con l’animo di chi abbia subito allo stesso tempo un danno ed una beffa.
Pescare qualche spigola, che già è impresa talvolta difficile: ci sono, non ci sono, stanno più sotto, si mantengono fuori, mangiano a terra o non mangiano affatto…e così, in assenza di ingaggi, comincia a farsi strada il dubbio di aver sbagliato posto, ma ormai, dopo aver “messo su casa” in quel punto, la prospettiva di doversi incollare di nuovo tutto l’ambaradan ci atterrisce e c’immobilizza come un crotalo nella doccia.
In genere si dice “pescatore che cambia loco, pesce ne prende poco” e questo è vero soprattutto per alcune specie come i cefali, la cui pesca trae giovamento da pasturazione abbondante e concentrata. In altri casi, invece, può essere efficace una maggiore mobilità e l’abitudine di ispezionare diversi punti, fino a trovare quello “caldo”. Per farlo comodamente l’ideale è non avere “bagagli” al seguito.
In altre parole ci si attrezza per pescare in banchina tenendo tutto ciò di cui si ha bisogno in un gilet superaccessoriato, ed usando solo una “bolognese” di cinque metri armata in modo da soddisfare tutte le esigenze che possono presentarsi spostandosi di frequente. Per variare il fondo senza dover ridistribuire tutta la scalatura di pallini sul filo, è conveniente adoperare un galleggiante all’inglese (ad esempio un 3+1 o 3+2) fermato sotto con un paio di pallini e sopra con un nodo scorrevole che funga da stopper, lasciando senza zavorra la sottostante lenza, con relativo finale.
Bersaglio principale della pesca “mordi e fuggi” all’interno del porto è la spigola, ma anche l’orata può darci soddisfazione per i molti mesi in cui si pregia di frequentarne le acque. Molti altri pesci frequentano l’ombra dei pescherecci ormeggiati, tra i quali spiccano per numero i cefali e per pregio le mormore. Tutti questi pinnuti sono insidiabili col vecchio bigatto, che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.
Il gilet da pesca deve diventare il fornitissimo deposito di accessori dove ogni cosa deve avere il suo posto logico e consueto, per evitare lunghe ricerche di quanto di volta in volta può occorrerci.
In più, lo si può adattare alla conservazione del pescato in maniera molto igienica e funzionale: basta inserire nel tascone renale una busta di plastica contenente una bottiglia dello stesso materiale piena d’acqua messa preventivamente a ghiacciare. I pesci appena guadinati vi saranno subito introdotti, restando al fresco ed al riparo da sguardi indiscreti, senza contare la piacevole frescura di cui usufruiremo nella calura estiva e la scorta di acqua fredda da bere che ne conseguirà.
Se si opera con le barche ormeggiate, può essere sufficiente un posto vacante tra due di esse per disporre dello spazio necessario all’azione di pesca: si effettua un lancio lungo ed ortogonale alla banchina; subito dopo si molla una fiondata di bigattini a metà strada tra noi ed il galleggiante ed a seguire si recupera quest’ultimo fino a quando non abbia rimontato di qualche metro l’area di pasturazione.
L’esecuzione di queste tre operazioni in rapida successione ci assicura la discesa verso il fondo dei bigattini innescati all’interno della nuvoletta di quelli lanciati con la fionda.
Altro importante risvolto di questa modalità di pesca è il fatto di avere tutto il calamento disteso in acqua, senza inevitabili angoli tra la parte libera e quella piombata e di conseguenza un galleggiante sensibile ai movimenti in maniera rapida, che consente una ferrata altrettanto tempestiva. Se dopo qualche lancio con relativa frecciatina non accade nulla, significa che si sta verificando una delle due seguenti situazioni
-Non vi sono pesci in quella determinata zona.
-I pesci si stanno piluccando allegramente i bigattini liberi, scartando sistematicamente quello innescato.
Alla prima situazione si può rimediare spostandosi un po’, cosa che riesce molto facile non avendo nulla da raccogliere da terra se non il guadino. Alla seconda evenienza è invece molto difficile opporre valide contromisure. In realtà quello che i pesci avvertono come un pericolo è il filo, per sottilissimo che sia; siccome di esso non possiamo fare a meno, dobbiamo rassegnarci ad attendere che il mutare delle condizioni di luce, di marea, di aggressività o sa iddio cos’altro, non rimuovano quel veto all’abboccata, regalandoci quella dolcissima discesa di galleggiante, piacere, questo, che baratteremmo con ben pochi altri al mondo.