Ecco a voi una guida per conoscere meglio il porto, per capire cosa offrono le sue diverse postazioni e quali sono i sistemi migliori per affrontarle.
La banchina di giorno
Tutto ciò che segue è riferito naturalmente alle aree portuali dove la pesca è consentita in deroga al generico divieto di pesca che ancora, purtroppo, costituisce spesso ammorbante impedimento al nostro innocente svago. I porti delle nostre coste si assomigliano molto tra loro, soprattutto quelli che hanno all’incirca la stessa dimensione. Essi sono generalmente composti di una struttura che si allunga verso il mare aperto e ripiega poi in maniera più o meno parallela alla costa. I tratti di cui si compone (in genere 2 ) si chiamano bracci. Questo manufatto è detto molo di soprafflutto, e costituisce la barriera primaria che si oppone all’energia delle onde. Esso presenta una scogliera dal lato mare aperto ed una banchina transitabile sul lato che guarda la terraferma. Su questo lato, che talvolta è raggiungibile anche con l’auto, la pesca, laddove consentita, è una vera delizia, poiché si sperimenta il piacere della comodità e della varietà, con molte tecniche adottabili e gran varietà di specie catturabili.
L’attrezzo principale
Parlando di banchina la bolognese è d’obbligo, benché questa postazione si presti benissimo alla maggior parte delle tecniche di pesca da riva. La lunghezza della canna dotata di mulinello dovrà essere maggiore di almeno un metro della profondità dell’acqua che si ha davanti, questo se si vuole pescare con un galleggiante montato fisso sulla lenza, cioè il tipico galleggiante all’italiana. Bisogna tener conto del fatto che nei porti di grandi dimensioni avremo un fondale digradante, che aumenta di profondità allontanandoci dalla parete. Nei porti di minor dimensione, invece, la banchina finisce a piombo sul fondale sottostante, generalmente composto di un pianoro di sabbia e/o fango. Tipicamente la canna sarà una sette metri, munita di un mulinello di classe 1000 a frizione anteriore, imbobinato con un nylon specifico da mulinello dello 0,14. Se la banchina dalla quale peschiamo offre uno specchio d’acqua sgombro, privo di ostacoli, si potrà spingere al massimo plausibile la “finesse”, pescando con finali ultrasottili (dallo 0,08 allo 0,10) e canne ad azione non di punta, tali da assecondare con morbidezza le fughe dei pesci allamati.
Accessori utili
In banchina si sta comodi, dicevamo, a patto però di avere accessori adeguati, dei quali primo fra tutti è la sedia: in commercio ne esistono svariati modelli di diverso prezzo (si parte dai dieci euro) e, naturalmente, di diversa solidità. I modelli non pensati per la pesca, la classica “sedia da regista” da spiaggia o da terrazzo, andranno muniti di un portacanne acquistabile a parte e fissato con un paio di fascette metalliche a vite. Si tenga ben presente, però, che dovremo disporre una zavorra sulla spalliera della sedia, per evitare che questa si ribalti quando ci alziamo lasciando la canna poggiata nel sostegno. Altro accessorio utilizzabile al meglio in banchina è la nassa portapesci da calare in acqua per mantenere il pesce vivo, a patto che sia munita di anelli distanziatori, sufficientemente larga e con una piccola zavorra che la tenga distesa. Solo rispettando tutte queste condizioni, infatti, il pesce resterà vivo. Sono inutili a questo scopo, invece, i semplici sacchetti di rete calati in acqua con i pesci dentro che, in questo caso, vi muoiono in brevissimo tempo.
La differenza non è da poco, poiché mantenendo i pesci vivi potremo sempre decidere di liberarli a fine pescata, vuoi perché sono pochi o perché in ogni caso non li mangeremmo, facendo un gesto che ci gratificherà ancor più del previsto. Altro elemento centrale della pesca in banchina è un guadino dal manico sufficientemente lungo per superare il dislivello tra banchina e pelo dell’acqua. Scartiamo quindi quei guadini telescopici in alluminio a tre allunghi che non arrivano a due metri e trenta, e muniamoci invece di un attrezzo in misto carbonio di almeno quattro metri e venti, dotandolo magari di una testa svitabile e pieghevole, tipo quelle prodotte dalla Carson.
Cefalo, re della banchina
Il muggine è il re incontrastato degli specchi d’acqua interni ai porti, soprattutto nella specie maggiormente ricercata, Mugil chelo (Cuvier 1829) o Mugil labrosus (Risso, 1827) , detto bosega, sciorina o cerina, per citare i nomi regionali più comuni, ai quali andrebbero aggiunti anche “volpina” e “cannalonga”. Lo si pesca essenzialmente con la pastella al formaggio innescata su un finale a due o tre ami, secondo il caso, ma anche col filetto di sarda (esca imbattibile in presenza di naviglio da pesca professionale) ed anche col bigattino. In quest’ultimo caso sarà bene aggiungere le larvette allo sfarinato che servirà per la pastura. Non volendo esaurire qui il vasto argomento della pesca al cefalo, ci limiteremo a dire che in banchina è fondamentale una accurata misurazione del fondo che porterà l’innesco alla distanza minima possibile da questo. Per fare questo bisogna usare l’apposita sonda da connettere all’amo e calibrare la distanza amo-galleggiante tenendo la canna già sistemata nel suo sostegno e non in mano, per evitare dio sondare in un punto e pescare in un altro. La regolazione millimetrica può fare una differenza sostanziale, soprattutto quando si pesca vicino a concorrenti temibili. Una caratteristica della pesca in banchina al cefalo, infatti, è quella di radunare in pochi metri il massimo numero possibile di pescatori, pronti a sfide “all’ultimo sangue”.
Orata, regina indiscussa
Se abbiamo nominato il muggine “re” della banchina è stato per indicare la sua popolarità, la sua immancabile presenza, il dominio che per numero esercita sugli altri pesci nelle acque portuali. Al contrario l’orata ci sembra “regina” per il pregio delle sue carni, la limitatezza delle occasioni che abbiamo di incontrarla, e, non ultimo, il piacere che ci da “prenderla”. Metafore a parte questo è un pesce “on the top” in tutti i sensi che stagionalmente, all’incirca da giugno ad ottobre, è possibile catturare all’interno dei bacini portuali, tanto con tecniche a fondo che col galleggiante.
Dal punto di vista che c’interessa, che è quello della pesca in banchina, con il galleggiante, possiamo indicare le condizioni più favorevoli alla cattura del pregiatissimo sparide che sono, tanto per cominciare, una buona profondità ed un fondale degradante di scogli riportati o rocce naturali. La condizione meteo più favorevole è notoriamente la bolla d’alta pressione con cielo sgombro e mare calmo; ottime le ore centrali della giornata. Diciamo subito che catturare una bella orata con la bolognese ed il bigattino non è tra le cose più semplici di questo mondo, anche per un cannista esperto. L’orata ti fa fare “l’impennata al motorino” e ti saluta, nel senso che la fuga che segue all’allamata produce un istintivo sollevamento della canna (come se si tenesse il manubrio di una moto che si alza con la ruota da terra) ed un improvviso “raglio” della frizione del mulino, simile ad una accelerata, appunto. Pescando con i finali comunque sottili imposti dal bigattino di giorno, questo caratterino diventa un bel problema già con pesci sotto il chilo. Se poi si considera che la “dorada” può raggiungere svariati chili di peso si capisce subito quanto sia considerevole il valore sportivo della sua cattura. Per avere più possibilità di portarla a guadino si può innescare il granchietto, usando un finale più cospicuo ed un amo più grosso. Per non restare nel vago, diremo che in questo caso si può arrivare ad uno 0,16 fluorocarbon legandovi un amo n. 8/12, secondo la dimensione dell’esca. Un giorno ne riparleremo.
Spigola
Se non ci va di trascorrere un intera nottata in postazione, possiamo privilegiare le ore a cavallo dell’alba e, avendo possibilità di frequentare assiduamente le acque di un porto, si scoprirà che quasi sempre questo pesce si presenta, con una strana metodicità, sempre alla stessa ora. Mettiamo: se ad agosto, nel porticciolo di Vigata, ne prendiamo una alle sei e mezzo del mattino quasi certamente nei giorni successivi a quell’ora vedremo il galleggiante andar giù. In banchina fa da padrona, anche dove ci sono solo due metri d’acqua limpida, prima o poi lei arriva. Va a mangiare gli scarti dei pescherecci, cerca gamberi lungo la parete, e quant’altro sia commestibile; nell’ultima che abbiamo catturato, era un pesce di due chili, abbiamo trovato il carapace di un granchio, grosso quanto una moneta da due euro. Ci sarebbe molto da dire in proposito, ci torneremo in futuro. Per il momento indichiamo due precise strategie per conquistare questo pesce: cercarlo tra i pescherecci ormeggiati in banchina innescando un filetto di sarda fresca su un amo n. 10, di notte, con un bel finale del 18 ed il 22 in bobina. Boccone a grattare il fondo, o poggiato. Piombatura leggera, mezzo grammo, galleggiante adeguato, che sostenga anche il peso dell’innesco. Micidiale. Sistema numero due: quando arriva la prima luce arrivano anche i pascetti disturbatori e non si può più innescare la sarda. A questo punto si sceglie un tratto sgombro e calmo, sfruttando l’alba per pescare di fino col bigatto: finale lunghissimo, sottile, uno 0,11 o peggio; affondatine costanti di bigattini ed innesco singolo al centro del brumeggio.