Una panoramica sull’attrezzo principe della pesca da moli e scogliere: la canna bolognese, scelta, provata e valutata.
Per la canna bolognese fu amore a prima vista, nonostante il mio primo attrezzo di questa categoria fosse senza pretese, come può esserlo nelle forme e nella sostanza una tredicenne appena disturbata dalla pubertà. Me ne innamorai senza riserve, di quella cannetta in vetroresina appena pubescente di mulinello ed anelli guidafilo, giunta tra le mie mani ancora inesperte a seguito di un baratto, mi pare di ricordare. Oggi dispongo di un discreto harem di queste deliziose concubine, dalle quali traggo le soddisfazioni dovute tanto alla mia esperienza in materia, quanto al loro lignaggio. Le adopero seguendo precisi criteri, scegliendo di volta in volta quella più adatta alla profondità di pesca ed al tipo di esca usata. La caratteristica principale della canna alla “bolognese” è quella di essere dotata di un congegno, il mulinello, che interviene sia in fase di lancio, consentendo di portare il calamento a notevoli distanze, che in fase di recupero, laddove cede lenza sotto la trazione esercitata dal pesce allamato. Questo tipo di canna si usa sempre in accoppiata al segnalatore di abboccata, comunemente detto galleggiante.
Caratteristiche
Dal punto di vista strettamente tecnico, questo attrezzo è composto di una canna telescopica dotata di anelli scorrifilo e di placca porta mulinello, anche se non basta la presenza di questi elementi ad identificarla. Se però gli anelli sono legati con avvolgimento di filo annegato nella vernice, l’aspetto esteriore è sottile e leggero, con un cimino lungo e flessibilissimo, vorrà dire che quella che abbiamo davanti è proprio una bolognese in attesa di adeguato mulinello per formare una delle più collaudate coppie della pesca da terra.
Per comprendere l’essenza di questo strumento da pesca e per meglio cogliere le sue caratteristiche, trasferiamoci su una scogliera, dove troviamo in azione, fianco a fianco, un cannista che adopera una canna fissa di sette metri ed un compagno di pesca che invece utilizza una bolognese di cinque. Questa misura è la più tipica per la pesca da porti e scogliere, per cui l’adotteremo senz’altro all’interno di questa piccola simulazione. La prima cosa che possiamo osservare è che i due galleggianti, quello della fissa e quello della bolognese, pescano alla stessa distanza dal punto dove appoggiano i piedi dei due amici.
Ecco la prima osservazione, il pescatore che adopera la canna bolognese possiede un raggio d’azione molto più vasto e quindi può sondare il fondale a suo piacimento, sia in profondità che in lontananza.
Può scegliere di pescare alla stessa distanza del suo amico ma può, anche in mancanza di toccate, lanciare più fuori per intercettare i pesci che stazionano in zone non raggiungibili dalla
canna fissa.
In più, c’è da dire che, se la canna fissa consente di portare l’innesco ad una profondità massima mai superiore alla sua lunghezza, una bolognese di cinque metri, al contrario, utilizzando un galleggiante scorrevole, può portare l’esca a profondità anche di quindici metri a grande distanza da riva. Immaginiamo di osservare da una comoda postazione questa ipotetica battuta di pesca, allora, e completiamo il quadro aggiungendo una condizione di mare in scaduta, con onde che tuttavia non hanno ancora perso del tutto la loro altezza e che si frangono sugli scogli provocando spruzzi sui due amici.
Quello dei due che manovra la canna fissa, per non bagnarsi è costretto ad interrompere frequentemente l’azione di pesca ed arretrare sull’avanzata dell’onda che si frange; al contrario, quello che adopera la bolognese, per schivare gli spruzzi, può indietreggiare senza dover ritirare la lenza dall’acqua: lo fa semplicemente alzando l’archetto del mulinello e lasciando che da questo si liberi la quantità di lenza che gli consenta di arretrare lasciando il galleggiante dov’è.
Abbiamo giusto il tempo di notare questa differenza di comportamento dei due che vediamo il pescatore con canna fissa, ferrare su una repentina affondata del suo galleggiante: la lunga canna fissa si flette sotto la trazione di un pesce di taglia, probabilmente un sarago; la magia però è di breve durata, poiché il pesce non avendo grande profondità sotto di sé, si difende puntando al largo: questa è la condizione più penalizzante per la canna fissa. Il nostro uomo è costretto ad assecondare la fuga del pesce mettendo la canna quasi orizzontale sull’acqua, facendole perdere così il suo potere ammortizzante; quello che segue, nel volgere di qualche secondo, è la rottura del finale.
Addio saragone. Cinque minuti dopo è il pescatore con la bolognese a ferrare un grosso pesce: il galleggiante appena giunto in verticale sull’acqua ne è inghiottito fulmineamente e, al contempo, la frizione del mulinello intona la sua nota che si protrae per qualche secondo, interrompendosi per un attimo e riprendendo poi a tratti.
Il pescatore tiene la canna ben in verticale, assolutamente dritta, lasciando che questa si curvi, opponendo la sua azione alle testate del pesce mentre, in contemporanea, il mulinello cede parecchi metri di filo.
Dopo qualche minuto di combattimento viene a pelo d’acqua, e poi a guadino, un sarago di ottocento grammi.
A questo punto possiamo far svanire le immagini e focalizzare il senso di quello che abbiamo osservato.
La bolognese è uno strumento di pesca di grande efficacia che può diventare micidiale se adoperato da mani esperte, consentendo catture normalmente precluse alla canna fissa. Una volta individuata la forma, generalmente a pera rovescia, più o meno affusolata, facciamo caso ai materiali usati ed al loro assemblaggio: scopriremo che esistono notevoli differenze tra i vari tipi proposti dal mercato, diversità che si traducono sostanzialmente in differenze di efficienza e di durata. Il corpo del galleggiante è generalmente in legno di balsa smaltato e verniciato per renderlo impermeabile, oltre che d’aspetto gradevole. Talvolta è usato un materiale plastico per realizzare il corpo, cavo al suo interno, e nella stessa fusione sono inglobate antenna e deriva, conferendo al tutto gran solidità.
Come Scegliere la Canna Bolognese
Il purista della “bolognese” predilige un galleggiante generalmente oblungo e leggero, fissato sulla lenza dai classici tre tubetti di silicone. Ciò comporta che la lunghezza della canna debba eccedere, anche di poco, la misura del fondale. Da qui la necessità di disporre di canne che arrivino almeno a sette metri di lunghezza, pur di non aver a che fare con galleggianti scorrevoli e relativi disagi. Questi ultimi ci obbligano all’uso dello “stopper” (nodo d’arresto) sulla lenza madre, che è spesso troppo serrato od un po’ lasco, intoppa negli anelli guidafilo e ci lascia sempre dubbiosi, dopo qualche lancio, sull’effettiva profondità di pesca. Per non dire poi dei richiami di lenza effettuati mentre si pesca, che col galleggiante scorrevole sembrano affondate alle quali seguono poi i tempi morti del riassetto del segnalatore. Insomma meglio evitare lo scorrevole, tranne che non si peschi su un fondale da bolentino.
Usando galleggianti di tipo diurno, vale a dire con l’antenna fissa, può essere conveniente non utilizzare l’anellino guidafilo posto sul corpo dello stesso, ma fissare la lenza sull’antenna con un quarto tubetto di silicone. Si ottengono così due vantaggi: un fissaggio più resistente (a volte l’anellino tende a sfilarsi dal galleggiante) ma soprattutto la possibilità di sostituire “a volo” il galleggiante stesso con altro di forma o grammatura diversa, senza perdere tempo a smontare e rifare tutta l’armatura della lenza.
Lunghezza della canna e costi relativi
Avendo a cuore l’uso del galleggiante fisso, abbiamo visto che la lunghezza della canna è imposta dalla profondità del fondale. La lunghezza più comune di quest’attrezzo è cinque metri, dimensione che corrisponde anche al prezzo più contenuto, a parità qualitativa, ed all’impiego meno oneroso in termini di sforzo di braccio. Una buona 5 metri si acquista con una spesa ridotta a patto di non richiedere accessori lussuosi a corredo: gli accessori di quest’attrezzo sono gli anelli guidafilo e la placca porta mulinello. Il maggiore o minore pregio di questo equipaggiamento consiste nel materiale usato: gli anelli sono composti da un toro di materiale plastico/ceramico di elevata durezza serrato in un castelletto di filo metallico terminante in un piedino di connessione al fusto di ogni segmento della canna. La struttura metallica (ponticello) tende a spezzarsi con facilità, imponendo la sostituzione di tutto il guidafilo, previa rimozione della legatura e nuovo montaggio. La placca porta mulinello deve serrarsi sul piede di questo eliminando ogni fastidioso “gioco”, e quindi deve possedere una meccanica precisa. Se non si hanno particolari esigenze derivanti, (tra l’altro) da una discreta esperienza, conviene acquistare la “bolognese” già montata,
tenendo presente che vi è generalmente una proporzione diretta tra costo e prestazioni. La risposta della canna alla trazione, perpendicolare al suo asse longitudinale, applicata sulla punta del vettino, viene definita “azione”. Generalmente per la pesca in mare si predilige la canna di elevata rigidezza nei segmenti sottostanti il sottovetta. Rimandando ad altri dotte dissertazioni di calcolo integrale applicato al modello “trave”, diremo prosaicamente che abbiamo in gloria le “bolognesi” sottili di manico ed al contempo rigide per tre quinti della loro lunghezza; sottili di vettino e nate sotto una buona stella. Con l’aumentare della lunghezza, queste pregevoli doti tendono a sparire, salvo che non ci si rivolga ad attrezzi di costo “pungente”: se si desidera una sette metri rigida e leggera, da poterci effettivamente pescare per molte ore senza avere un braccio da culturista, bisogna pagarla una cifretta, diciamo almeno centomila al metro. I materiali costitutivi del fusto saranno non più la fibra di carbonio, onnipresente ormai già negli entry level, ma bensì sostanze ad elevatissima tecnologia, magari di derivazione astronautica, oltre che di costi astronomici.
Mulinelli da” bolognese”
Il mercato offre una varietà di modelli, tale da imbarazzare anche un esperto. I criteri di scelta, comunque, devono imporre anzitutto una dimensione adeguata alla canna, che renda bilanciato tutto l’attrezzo. Altro elemento importante è il meccanismo di frizione, cioè il congegno costruttivo che rende possibile lo sbobinamento del filo ad archetto chiuso. Un buon attrezzo cede lenza in maniera fluida e finemente regolabile, meglio se possiede due regolazioni della frizione vale a dire ghiera sul fondello (di presettaggio) e levetta così detta “di combattimento”. Anche qui i costi salgono in fretta, e sono generalmente in linea con la funzionalità e la durata del mulinello. Questo, come tutti i congegni meccanici, soffre dei danni dovuti all’usura, che fa aumentare il gioco meccanico tra gli ingranaggi ed allasca i serraggi. Un attrezzo di marca, di dimensione media e con una buona aspettativa di vita, ha come prezzo di riferimento le centocinquanta mila. Le maggiori case migliorano annualmente i modelli, dotandoli di sempre nuovi (ma a volte poco significativi) accorgimenti. Con l’esperienza s’imparerà ad identificare e soprattutto ad apprezzare gli attrezzi validi. In bobina viene immagazzinato generalmente un monofilo dello 0,14, che rappresenta il migliore compromesso tra portata utile e leggerezza in fase di lancio: usando galleggianti di grammatura esigua ( da g 0,75 a g 2,00) un monofilo di diametro maggiore penalizzerebbe di molto la gittata del lancio. Le case costruttrici sembrano ignorare questo dato, sovradimensionando la capacità delle bobine, tanto che per ottenere un corretto imbobinamento bisogna acquistare rocchetti da mille metri, destinandone almeno duecentocinquanta al caricamento dell’attrezzo. Questo comporta uno spreco notevole, visto che perlopiù solo i primi cinquanta metri di tutto il serbatoio sono impegnati effettivamente nelle azioni di pesca.
Le armature da “bolognese”
Per armatura s’intenda la configurazione del calamento, cioè di tutto il tratto di lenza compreso tra il galleggiante e l’amo. Esso si compone di due parti distinte, di diverso diametro di lenza, congiunte da un nodo o da un micro attacco a sgancio rapido. Dal galleggiante fino alll’attacco del finale (detto anche “svolazzo”) troviamo la stessa lenza che sta in bobina, senza interruzioni, e su di essa si dispongono galleggiante e sottostante piombatura.
-Piombatura secca
Questa è concentrata in prossimità dell’attacco col finale, e costituita da un’unica peretta di piombo (torpille) di grammatura leggermente inferiore alla portata del galleggiante, montata con la punta della “pera” rivolta verso l’alto, che scorre sulla lenza arrestandosi sul nodo di giunzione che connette il finale. Il suo impiego è limitato ai casi in cui si voglia condurre velocemente l’innesco in prossimità del fondo, onde evitare che venga attaccato e distrutto dai pascetti che stazionano in superficie ed a mezz’acqua. Si adopera quasi sempre con un finale a due braccioli (lunghi dai 40 cm al metro) innescato a sarda, pastella o gambero. Questo tipo di calamento viene usato prevalentemente nei mesi caldi, in presenza di minutaglia ittica, per insidiare efficacemente cefali, occhiate e saraghi, insieme a tutti gli altri degni frequentatori di scogliere e banchine, con la sola esclusione della spigola.
-Piombatura scalata
Si ottiene distribuendo la zavorra lungo quasi tutta la parte di filo immersa in acqua, da poco sotto il galleggiante fino all’attacco dello svolazzo. Per limitare il numero dei pallini spaccati necessari a coprire il fabbisogno di zavorra, si può usare una piccola torpille e, sotto di questa, formare una “collana” di pallini distanziati in modo uniforme sul restante tratto di lenza, per una lunghezza di almeno due metri. Esistono poi molte varianti che riguardano il distanziamento ed il numero dei pallini, ma in ogni caso si concentra il grosso del peso verso la parte di lenza prossima alla superficie, per consentire all’innesco un affondamento molto lento e quindi naturale, come se il boccone non nascondesse nessuna insidia e zuzzerellasse fischiettando mentre, lento pede, affonda per il solo suo peso. Detta configurazione di calamento dà il meglio di sé innescando principalmente i bigattini ed, in ogni caso, in assenza di boccucce tanto affamate quanto indesiderate all’amo: come a dire di notte o nei mesi invernali.
Pregi e qualche difetto
La “bolognese” rende possibile l’uso di finali sottili, consentendo di spingersi all’uso di diametri anche estremamente ridotti. Personalmente arrivo allo 0,06 che, in casi particolari, rappresenta l’unica possibilità di ingaggiare qualche pesce. Essa, durante il combattimento con la preda, aggiunge all’effetto ammortizzatore della canna, la cedevolezza della resistenza del filo, consentita dal congegno frizione del mulinello. In più questo attrezzo consente un raggio d’azione molto più esteso di quello proprio di una canna senza mulinello; bisogna però curare la precisione dei lanci, per evitare di andare troppo spesso fuori zona di pastura, soprattutto in presenza di vento o corrente, quando più frequente è il rischio di non presentare l’esca nel punto preciso. Un’altra difficoltà è costituita dalla eventualità frequente di ingarbugliare il calamento in fase di proiezione, formando senza volerlo discreti grovigli. Una corretta distribuzione delle masse in gioco (distanziamento tra finale, piombi e galleggiante) può evitare che ciò accada, segnatamente se si impara a distendere il calamento prima che tocchi l’acqua con un repentino arretramento della canna: questa manovra (indispensabile con la piombatura scalata) prende comunemente il nome di “trattenuta”, per analogia, forse, con l’invisa tassazione alla fonte che decurta emolumenti ed onorari di quella quota che in apparenza gli apparteneva. Una manovra repentina, quella alieutica, che accorcia l’entità del lancio a vantaggio della sua corretta riuscita.
Un utile accorgimento
La “bolognese” va usata con tutti gli anelli guidafilo perfettamente allineati. Spesso nell’aprire la canna non si presta la cura necessaria a garantire questo corretto posizionamento, oppure l’oscurità può rendere comunque difficoltosa l’operazione. Per ovviare a questo problemino si può predisporre una serie di guide di registrazione alle due estremità di ogni segmento della canna. Con un pennarello a vernice, si traccino sul fusto della canna, a cavallo di ogni giuntura e dal lato opposto agli anelli, dei segmenti di circa due centimetri, dopo aver aperto la canna e posizionato con cura estrema ogni elemento. Quando apriremo la canna per pescare, sarà molto più semplice registrare la rotazione degli elementi attraverso l’allineamento dei due segmenti tracciati in precedenza sul fusto.
Prezzi delle Canne Bolognesi
In conclusione mettiamo a disposizione una lista delle canne bolognesi più vendute online con i relativi prezzi.
Ultimo aggiornamento 2024-11-14 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API