Il palamito è una tecnica di pesca antichissima che richiede un grande lavoro di preparazione e tanta pazienza ma che alle volte sa regalare soddisfazioni inimmaginabili. Il momento più bello è sicuramente il recupero: salpare un palamito è sempre una sorpresa, con questa tecnica può capitare di prendere veramente di tutto!
Alcuni pensano che il palamito sia una tecnica poco sportiva per due ragioni: perché non prevede l’utilizzo di canne e mulinelli e perché viene a mancare la tanto amata “lotta con il pesce”.
Altri sono convinti che sia una tecnica troppo facile e che basti filare in mare una lunga lenza munita d’ami per recuperarla dopo poco tempo con i pesci attaccati.
Altri ancora considerano il palamito come una tecnica noiosa dove varianti ed innovazioni non sono ammesse. La realtà è invece del tutto diversa.
Questo è un metodo tradizionale usato dai pescatori professionisti dalla notte dei tempi che tra le altre cose trova molti estimatori anche tra i dilettanti.
Risulta essere una tecnica di pesca dura e selettiva che mette alla prova la resistenza fisica del pescatore: occorre procurarsi le esche, innescare, calare e salpare numerosi ami collegati alla lenza madre. Si tratta di una pesca fatta di tanta pazienza che, però alle volte può regalare risultati eccezionali. Dal punto di vista tecnico annovera una grande varietà di soluzioni: esistono i palamiti di superficie, quelli che lavorano a mezz’acqua, quelli di fondo, più tutte le soluzioni intermedie. Inoltre, grazie alla sua variabilità, offre al pescatore la possibilità di insidiare tutte le specie di pesci, dai piccoli sparidi che vivono nel vicino sottocosta fino ad arrivare ai grandi predatori come tonni, pesci spada e squali.
In questa guida prenderemo in considerazione la forma più semplice di palamito: quello di fondo, usato soprattutto nel periodo invernale per insidiare i grossi saraghi.
Questi sparidi sono soliti sostare sui fondali sabbiosi ai margini di scogliere e praterie di posidonia alla ricerca di cibo. Questo attrezzo, se costruito alla perfezione ed innescato con invitanti bocconi, è capace di regalarci non solo saraghi ed orate, ma anche gronghi, murene e belle spigole.
Il principale elemento di un palamito è il trave cioè la lunga lenza madre a cui vengono collegati i braccioli. Nel nostro caso sceglieremo un filo dello 0.70 per il trave (specifico per palamiti) ed uno dello 0.35, massimo 0.40 per i braccioli. Per collegare i braccioli al trave dovremmo eseguire un nodo “uni a 3 spire con triplo collo a rientrar” per far si che il bracciolo non scivoli sulla madre. La lunghezza dei braccioli non dovrà essere eccessiva, pena indesiderati imbrogli, ma di circa un metro. Altro parametro importante è la distanza tra un bracciolo e l’altro: questa misura dipende molto dal luogo dove s’intende posizionare il palamito.
Se i saraghi sono molto concentrati in una determinata zona allora converrà distanziare i braccioli di circa 3 metri, altrimenti è possibile ricercarli su grosse distanze fino ad avere un bracciolo ogni 10/15 metri. Per ciò che concerne il numero di ami, la legge italiana fissa il limite a 200 per i pescatori non professionisti. E’ preferibile, però costruire il nostro palamito con un numero minore di ami per facilitare le operazioni; 70-80 ami possono essere già sufficienti per realizzare buoni carnieri.
Altro elemento importante è la “coffa” ovvero il contenitore nel quale alloggeremo il nostro palamito (ne esistono già disponibili in commercio, ma possono essere anche costruiti a mano con buoni risultati).
La scelta dell’esca rappresenta da sempre un vero rompicapo per l’appassionato. Da un lato si vorrebbe avere un’esca appetitosa da un altro una resistente, ma come si sa una cosa esclude l’altra. Un’esca universale che funziona sempre non esiste; a seconda del periodo dell’anno e delle prede presenti occorre orientarsi su tipologie di esche differenti. La bravura del pescatore consiste proprio in questo: presentare ai pesci l’esca che sono soliti mangiare in quel dato periodo. Tra le più comuni troviamo l’oloturia (deve essere usata solo la parte interna tagliata in piccoli bocconi), le patelle, i granchi, i cefalopodi in genere (ottimi i calamari), i bibi e le sardine. Altre esche molto apprezzate dai pesci come anellidi di mare, gamberi e cozze sono poco usate per via della poca consistenza e degli eccessivi costi.
Dopo avere innescato il palamito occorre disporre di una piccola imbarcazione. Calare correttamente il palamito è la base per una buona riuscita della battuta: l’attrezzo va sempre messo in acqua da poppa, iniziando con il segnale al quale agganceremo la prima estremità del nostro palamito.
Poi si calano in mare i braccioli in sequenza uno dopo l’altro con il motore al minimo o meglio a remi. Dopo aver calato l’ultimo amo occorre agganciare l’altro segnale al trave. Solitamente il palamito è messo di sera e lasciato “lavorare” tutta la notte.
L’ultima fase, che è quella più divertente nella quale le sorprese non mancano mai, è il salpaggio. Generalmente si effettua all’alba perché di solito questo è il momento in cui il mare è più calmo.
Dopo avere raggiunto e imbarcato il primo segnale, si inizia lentamente, con il motore al minimo o a remi, a recuperare il trave. Il palamito sarà raccolto nel contenitore con calma, appuntando gli ami sul bordo di sughero dello stesso. Purtroppo anche questa fase non è priva di inconvenienti: gli incagli sono infatti abbastanza frequenti, ma spesso la fatica di disincagliare il nostro palamito dai fondali accidentati verrà ripagata da qualche bella preda.