Nelle ore prossime al tramonto o anche quelle delle notti calde d’autunno, quando il mare è appena increspato dalla brezza di terra, conviene salire a bordo di una imbarcazione e volgere la prua verso il largo, per insidiare le occhiate.
In queste ore infatti, gli sparidi in questione si raggruppano nelle acque non troppo profonde sovrastanti le scogliere sommerse rivestite da alghe, o le piane ricoperte da posidonie. Una volta raggiunta la zona che conosciamo e che è stata prodiga di catture, situata nel nostro caso a circa mezzo miglio da terra, ci si ferma e si ancora usando il nostro “ferro” oppure un peso qualsiasi (tre o quattro mattoni forati) collegati alla cima dell’ancora da un sottile sagolino. Ciò fatto, si comincia a brumeggiare con un impasto di pane bagnato, spremuto.
Dopo occorre passarlo al setaccio e insaporirlo con della salamoia di acciughe o con del pecorino sardo grattugiato finemente. Questo intruglio maleodorante serve per richiamare i pesci, radunandoli in vicinanza della barca. Per la pesca, si possono usare sia “le correntine” che le “canne da lancio”. “Le correntine” sono composte da una trentina di metri di nylon dello 0,20 – 0,25, al termine del quale viene fermata una piccolissima girella doppia in ottone brunito. Da questa si stacca il finale formato da circa due o tre metri di monofilo super dello 0,12 – 0,15 e armato con un amo cromato storto Mustad – Qual. 220A – del numero 12 – 10, che si innesca con un gamberetto, con una strisciolina di seppia o calamaro, o con la pasta, oppure del numero 17 – 15 se si usano un paio di bigattini. Ogni correntina, per comodità di trasporto, viene tenuta avvolta sopra un telaietto di sughero.
Dopo aver brumeggiato la zona, si innesca l’amo e si cala lentamente la lenza in acqua.
Questa viene presa dalla corrente e l’esca si allontana dalla imbarcazione verso la zona dove si vedono bollare i pesci. Quando uno di questi abbocca, si ferra e si recupera di forza, senza dare tempo all’occhiata di spaventare con le sue fughe laterali gli altri componenti del banco. “Le canne da lancio” che molti preferiscono alle correntine, sono delle comuni bolognesi leggere, lunghe 3,00 – 3,50 metri, alle quali viene abbinato un mulinello leggero, la cui bobina viene caricata con del nylon dello 0,20 – 0,25. Al termine del filo si ferma un galleggiante piombato a sfera da 3 – 5 grammi, colorato in arancio fluorescente se si pesca al tramonto o in bianco opaco se l’azione avviene durante la notte. In questo ultimo caso, sarà utile un piccolo starlight (non deve emanare troppa luce) infilato sopra il sughero al posto dell’antenna.
Al di sotto del galleggiante, un semplice cappio dà attacco al finale composto da tre o quattro metri di monofilo super dello 0,12 – 0,15 e armato con lo stesso amo citato per le correntine. Una mignonette del numero sei posta a 150 centimetri sopra l’amo, fungerà da zavorra. Le esche saranno le stesse già ricordate e cioè: gamberetti, pasta, striscioline di totano o calamaro o bigattini.
Piochè di notte il pesce è meno sospettoso e in genere di taglia maggiore, nella pesca notturna conviene aumentare i diametri di tutti i monofili impiegati. Così per le correntine il corpo di lenza sarà dello 0,25 – 0,30, mentre il finale sarà dello 0,18 – 0,20. Per evitare brutte sorprese, anche il finale usato per le canne, sarà composto da un monofilo super dello 0,18 – 0,20. Inutile aggiungere che, soprattutto di notte, in barca ci si deve muovere con la massima prudenza, per evitare bagni indesiderati.