Tra le folte e numerose distese di posedonia che caratterizzano i fondali del Mediterraneo una specie ittica fa da padrona: lo sparlotto. Vediamo quale tecnica affiancare a questo degno appartenente alla famiglia degli sparidi capace di offrire divertimento anche durante le fredde giornate invernali.
gacilmente riconoscibile per quella sua livrea cangiante e tendente in alcune parti al colore dell’oro, lo sparlotto, se affrontato con la giusta attrezzatura, può empre offrire alcune ore di classica quanto divertente pesca con la bolognese dalla barca. Spesso e volentieri però il simpatico sparlotto viene declassato o addirittura scartato; in molti dimenticano che questo pesce appartiene alla famiglia degli sparidi e ad una delle cinque specie dei saraghi che popolano le coste del mar Mediterraneo.
Il comunissimo sparlotto altro non è che il sarago sparaglione; quindi, se come dice il proverbio a caval donato non si guarda in bocca, abbiamo pensato bene di recarci nei pressi del faro di Vada antistante la costa Livornese per tentare proprio la sua pesca. È anche vero che difficilmente, lungo le nostre coste, lo sparlotto raggiunge dimensioni ragguardevoli capace quindi di offrire una cospicua combattività, ma se affrontato con la giusta attrezzatura può regalare un divertimento continuo e duraturo nel tempo dato che tale pesce a differenza dei suoi stretti “cugini” si muove in branchi molto numerosi e assai meno diffidenti nei confronti delle montature che gli vengono proposte da noi pescatori. Quegli stessi pescatori che strinti dalla morsa del freddo invernale e dalla voglia di vedere affondare quel galleggiante che troppo, troppo spesso durante questo periodo viene usato come oggetto da mettere sulla propria scrivania o sul comodino della camera, desistono mossi dal fatto di dover abbandonare la propria passione anche momentaneamente e per cause di forza maggiore.
Logicamente non è che abbiamo fatto rotta su tale zona senza nessun tipo di ragionamento anzi per decidere dove effettuare la nostra battuta di pesca siamo partiti dal presupposto che lo sparlatto predilige vivere nei pressi delle numerosissime praterie di alga oceanica detta comunemente posidonia. Quindi sapendo a priori che tutta la zona nei pressi del faro è caratterizzata da tale alga, la nostra scelta è ricaduta di conseguenza su questo sito. Per essere ancora più precisi per poter affrontare correttamente una battuta di pesca allo sparlotto dovrete cercare un fondale caratterizzato da un fondo ricco sia di praterie di posedonia oceanica interrotta da spazi di natura rocciosa. Ed è proprio lì , dove si formano tali spazi caratterizzati da un substrato misto tra roccia e sabbia, dove dovremo calare la nostra ancora. La limpidezza dell’acqua e l’esigua profondità del fondale che dovete ricercare per tentare la cattura dello parlotto, sono due fattori che permetteranno di individuare la zona appena descritta.
Una volta ancorati su questi spiazzi rocciosi limitrofi o immersi tra le distese di alga oceanica inizieremo a montare l’attrezzatura . Prima di tutto cercheremo di trovare un fondale che ci permetta di utilizzare dei galleggianti fissi montati su canne bolognesi di sei metri; quindi escluderemo i fondali elevati che ci costringerebbero ad utilizzare montature con galleggianti scorrevoli. Questo perché la pesca con il galleggiante fisso è molto più veloce e l’allamata risulta molto più precisa ed energica. Un altro fattore a favore del galleggiante fisso sta nel fatto che lo sparlotto predilige vivere su fondali medio bassi e quindi è inutile andarsi a complicare la vita quando si può evitare. Il galleggiante dovrà essere scelto in relazione alle condizioni meteo-marine del giorno quindi la grammatura e le dimensioni andranno valutate solo dopo un’attenta osservazione. Il galleggiante che consigliamo dovrà avere una forma a pera rovesciata; scarteremmo in questo caso i classici galleggiante a pallina o sfera (il comunissimo Bravo) dato che sono ottime per la pesca al sarago ma in altre circostanze che spesso abbiamo citato.
Quindi un galleggiante fisso a forma di pera rovesciata da due grammi montato su un filo madre dello 0.16 di diametro, farà proprio al caso nostro. Per quanto riguarda invece il terminale da utilizzare, uno 0.12 di diametro andrà più che bene. Nella nostra uscita, come ami abbiamo usato i Colmic del numero 16 della serie N500. Massima attenzione invece dovremo porre sia sulla disposizione della piombatura, sia sul metodo di pasturazione. Per quanto riguarda la piombatura questa dovrà essere rigorosamente a scalare e con l’ultimo piombino a non meno di trenta centimetri dall’amo; in caso contrario abbiamo notato che l’eccessiva vicinanza tra l’amo e l’ultimo piombino rende lo sparlotto molto diffidente nei confronti del terminale da noi costruito. Infine ci preme soffermarci sulla modalità della pasturazione rivolta al richiamo sotto di noi dello sparlotto. Prima di tutto eviteremo i bigattini; questi li useremo solamente come esca: Procederemo, invece a calare un sacco di almeno cinque chili di sarda tritata finemente, a circa due metri dal fondo in modo da avere una scia costante di pastura capace di attirare gli parlotti ma non di sfamarli. A questo punto non ci resta che dirvi… cappello in testa e sciarpa al collo che lo sparlotto è pronto all’abbocco.