Gli sgombri sono pesci azzurri, pelagici, che in primavera si riuniscono in banchi formati da numerosissimi individui -spesso della stessa taglia- che migrano dal largo verso la costa.
Nel corso dell’avvicinamento alle coste gli sgombri seguono e perseguitano i banchi dei “bianchetti”, ovvero il novellame di acciughe e sardine, che costituisce la principale fonte della loro alimentazione. Poiché questi pescetti per sottrarsi a una brutta fine, fuggono in tutte le direzioni saltando anche fuori dall’acqua, è facile localizzare il banco degli sgombri in quanto nella zona di mangianza si può avvistare un tratto di mare più cupo, dove sembra quasi che piova, e dove i gabbiani la fanno da padroni decisi a partecipare al festino “urlando” e gettandosi ripetutamente in picchiata sulla superficie del mare.
I pesci adulti, la cui taglia si aggira sui trenta e perfino cinquanta centimetri, sostano in acque profonde a poche miglia da terra.
Quelli invece di dimensioni minori, si avvicinano ai promontori delle coste rocciose ed entrano anche dentro i grandi porti commerciali, dai cui moli è possibile catturararne un buon numero. In questo preciso periodo dell’anno, sono molti gli appassionati che si dedicano a questi sgombretti, nel lodevole intento di infarinarli e friggerli alla prima occasione. Per attirare i pesci a portata di canna, sia pure di canna da lancio, occorre brumeggiare spesso con un appanno composto da sardine tritate finemente e impastate con salamoia di acciughe: un “odore” irresistibile in acqua e quindi un richiamo infallibile.
Per la pesca si usa una bolognese in fibra di carbonio lunga circa cinque metri, alla quale viene abbinato un mulinello medio, la cui bobina è stata caricata con un buon nylon dello 0,25. Al termine del filo viene fermato un galleggiante affusolato da 5/8 grammi, al di sotto del quale, legheremo una girellina doppia che darà attacco al finale composto da tre metri di monofilo dello 0,18, il quale sarà armato con un amo cromato diritto del numero 2.
La piombatura è composta da un’olivetta forata da 3 grammi, fermata subito sopra la girella e da una mignonette di 1 grammo, fissata a 50 centimetri sopra l’amo.
Mentre in mare aperto la marea deve essere in fase di bassa, nella pesca in porto la fase più redditizia, è l’alta.
Il fondo da dare alla lenza può variare dai tre ai quattro metri, a seconda della profondità alla quale i pesci attaccano le esche e in ogni caso per ottimizzare l’azione di pesca occorre fare diversi tentativi e quindi aggiustare il tiro.
L’esca migliore è offerta da un bianchetto freschissimo, passato con l’amo fra gli occhi e infine appuntato sul peduncolo caudale, in maniera che rimanga ben disteso sull’amo.
In mancanza di bianchetti, si puà usare una strisciolina argentea di pelle con un po’ di carne attaccata, ricavata dal dorso di una sardina freschissima.
L’azione di pesca consiste nel lanciare le esche nella zona in cui si nota l’ombra scura a mezz’acqua, la quale, come detto, denuncia la presenza del banco dei pesci, quindi, si inizia un lento recupero intervallato da alcune soste di un paio di secondi in modo da tenere l’esca in movimento rendendola allo stesso tempo attraente.
Quando il galleggiante scompare, una decisa ferrata darà inizio alla tenzone. Parliamo di tenzone perchè quando uno sgombro si sente allamato, continuerà di prepotenza a seguire il banco dei suoi simili e si difenderà con tutte le proprie forze. Malgrado lui, prima o poi, sarà costretto a cedere e, al termine della giornata finirà nel retino pronto ad accoglierlo. La pesca a questa specie presenta una sola difficoltà: riuscire a individuare il branco e farlo rimanere aportata di lancio