A primavera inoltrata, i pescatori del Tirreno, si dedicano ad una particolare attività, la raccolta delle margherite. Malgrado il nome, tutto questo, non ha niente a che vedere con la floricoltura perché i soggetti in questione altro non sono che le grancevole (Maja squinado), i più grandi Brachiuri del Mediterraneo detti appunto margherite. E come chi coglie il fiore e lo sfoglia, il movimento si trasferisce a tavola e il movimento viene fatto dai commensali non coi petali, ma con le sue gustose zampe; il tutto, ovviamente, evoca goduria culinaria e non batticuore e dubbi amorosi.
Durante il periodo della riproduzione questi crostacei si radunano in acque relativamente basse ed è lì che vengono pescati da alcuni nella maniera più moderna, ossia in apnea, da altri -i più bravi- con un metodo tradizionale, un po’ complicato, ma che dà sicuramente più soddisfazione. Il metodo tradizionale prevede un gozzo, due pescatori (i più bravi ed esperti riescono a farlo anche da soli) di cui uno ai remi ed uno allo “specchio”, e due attrezzi detti “cerchietto” e “lupa”. Si costeggia tenendosi ad una profondità che oscilla dai cinque ai quindici metri, osservando il fondale con lo specchio. Questo -acquistabile anche in negozi specializzati- è una sorta di grosso cono con dei manici al centro, la cui parte larga è chiusa da un vetro piuttosto spesso, che permette di osservare il fondale. Sovente i pescatori del luogo ricavano lo specchio da vecchi contenitori di vernici ai quali applicano il vetro con il mastice.
Le difficoltà della tecnica stanno nel colpo d’occhio, nel riuscire ad individuare la margherita che si mimetizza in maniera perfetta con l’ambiente circostante e nel mantenere a lungo una posizione piuttosto scomoda che obbliga a sporgersi dalla barca (per questo servono gozzi con le murate basse) tenendo costantemente la testa a contatto dello specchio; contemporaneamente, il pescatore deve segnalare al rematore la direzione e gli spostamenti da fare con la barca. Una volta individuata la preda inizia l’azione vera e propria e la messa in opera del “cerchietto” o della “lupa”. Questi due attrezzi sono fatti in maniera assai diversa e vengono usati, a seconda della situazione e della discrezione del pescatore.
IL CERCHIETTO
Come dice la parola, è un cerchio in ferro assai pesante, del diametro di circa 25 centimetri, dal cui centro parte una cordicella lunga 20/30 metri. Il cerchio contiene una decina di fori in ognuno dei quali viene legato un terminale del 60/70, lungo poco meno di un palmo, terminante con grossi ami senza ardiglione. Questa specie di corona ferrea viene calata sul crostaceo (la pesantezza serve per la precisione) in modo che qualcuno degli uncini agganci una o più delle otto zampe o una delle due chele. Poi, basta solo recuperare lentamente e il gioco è fatto.
LA LUPA
Risulta essere una sorta di grossa pinza in ferro pesante che una volta messa in tensione con un elastico, propone la sua “bocca” aperta.
Seguendo la dinamica della tecnica, una volta avvistata la margherita, la lupa viene calata sopra e appena, tocca l’animale, strattonando la corda, si fa scattare il fermo dell’elastico, provocando la chiusura della bocca e quindi imprigionando la margherita che viene immediatamente salpata. Nella fase di sollevamento dal fondo è importante recuperare con continuità senza strattonare la cima.