Sulle tecniche di traina leggera o ultraleggera, si potrebbe facilmente scrivere un volume intero. Nel presente articolo ci limiteremo a tracciare brevi cenni sull’adozione delle diverse esche che sono usate per la cattura delle aguglie.
In vero, possiamo premettere un’osservazione di carattere generale: “luogo che vai usanze che trovi”. Ogni luogo di pesca differisce da altri, come tipologia di pesci presenti, come fondale, per limpidezza dell’acqua, per effetto delle correnti ed altri fattori di variabile. Ogni tecnica deve inquadrarsi anche nel “luogo” ove essa è stata sperimentata e messa a punto.
La tecnica che si riporta di seguito, per correttezza scientifica, sarà pertanto eccellente e comprovabile per le acque dell’Elba, in particolare nel periodo estivo quando tali pesci sono presenti in gran copia. E’ desumibile facilmente che in tanti altri luoghi simili all’Elba, i risultati saranno analoghi, ma per certi altri luoghi, la classifica in ordine decrescente di cattura che faremo nel presente articolo, potrebbe forse anche mutare.
Questa tecnica (da noi inventata taluni anni addietro), dopo averla ampiamente sperimentata la scorsa estate, può garantire l’assoluta superiorità rispetto ad ogni altra fino ad oggi adottata nella cattura delle aguglie. Naturalmente non mancherà di presentarsi all’amo anche qualche occhiata, ed altre specie tipiche della traina costiera. Naturalmente va bene in ambienti con acque molto limpide e coste rocciose.
Per prima cosa occorre munirsi dell’esca più vecchia del mondo (il bigattino), ma che in traina non era ancora stato preso in considerazione. La larva della mosca carnaria, appunto (a confronto con tutte le altre esche), è risultata la migliore in senso assoluto.
Avemmo modo (taluni anni addietro), di sperimentare e decantare come la “migliore” esca per la cattura del vivo da innescare, il “lombrico di terra”. Nelle nostre acque il “lombrico” per la traina era del tutto sconosciuto, mentre oggi, grazie anche a quel nostro articolo è divenuto un’esca che non manca quasi a nessuno. In tale occasione, illustrammo una tecnica speciale per la “traina alle ricciolette minori” viaggiando sulla batimetrica dei 15-20 metri di profondità, di fronte alle coste rocciose tipiche di tutte le isole, ad una velocità di 2- 2,5 miglia orarie innescando l’aguglia e posizionando il piombo ad una profondità intermedia di 7- 10 metri. Per la pesca a ricciole e dentici, occorre saltare in barca ai primi albori e catturare – lesti lesti – 5 o 6 aguglie da mettere nella vasca del vivo. Poi si passa all’innesco delle aguglie.
In altre parole, occorre dedicare non più di mezzora alla cattura delle aguglie per poi “planare” nei luoghi delle grandi ricciole e dentici o altrimenti iniziare la lenta passeggiata di lungo costa, nella ricerca di ricciolette (e di dentici), più modeste. In mare comunque la sorpresa può sempre capitare e dobbiamo essere sempre pronti al combattimento del “bestione” di oltre i venti chili anche in secche profonde che si trovano a meno di cento metri dalla costa. Alle sette del mattino occorre essere “in pesca” con due belle aguglie innescate ed altre tre o quattro nella vasca del vivo. Molti anni addietro (agli albori della traina), si pescava l’aguglia quasi unicamente con la “strisciolina d’aguglia”, prelevata dalla parte laterale o ventrale della stessa, doppio amo fisso del 10 o del 12, filo del 18, cannetta telescopica molto flessibile e mulinello piccolo e molto sensibile. Un’autorità in materia, che pescava in zona, anziché la strisciolina ci consigliò di usare l’apparato digerente (una sorta di budellina, lunga e dritta, situata dentro la pancia dell’aguglia che va dalla gola all’apertura anale). Nel pulire le aguglie avanzate (ottime se sono state fritte la sera), buttavamo sempre via quel budellino che invece poteva costituire due o tre ottimi pezzi da innesco. Il colore marrone lo faceva somigliare veramente molto ad un “lombrico”. Appena provammo il “budellino d’aguglia” abbiamo subito dato la precedenza a questo rispetto alla “strisciolina” argentea dell’aguglia, e solo in mancanza di budellino tornavamo a trainare con questa, proprio perché ci accorgemmo della diversità dell’efficacia.
Nella storia della traina leggera però l’esca per catturare l’aguglia è variata molto in funzione delle preferenze dell’individuo, dei luoghi ove si trainava e delle specie che si voleva insidiare. Attraverso scambi d’informazioni, ci accorgemmo che altre autorità in materia, propendevano maggiormente per altre esche come il cucchiaino, ma il sostenitore del cucchiaino non pescava negli stessi nostri mari e pertanto il confronto non era fattibile.
Altri ancora sostenevano (come migliore esca in assoluto per l’aguglia), il “grassello di prosciutto crudo”, mentre solo uno dei più grandi e noti padri della traina, aveva a dire (in un suo volume), che certi pescatori locali di certe zone preferivano, soprattutto “un bell’ombricone di terra”. Fu così che ci capitò per mano una scatola di “muriddu”: lo provammo su due ami… il numero di catture si moltiplicò in un battibaleno! Il passo dal muriddu al lombrico fu breve ed anche se il muriddu o l’americano o similari sono ancora più catturanti, il lombrico di terra ha altri vantaggi. Si può affermare che questo verme abbia una catturabilità praticamente analoga al muriddu e agli “americani” sebbene sia sicuramente più economico e si mantenga più a lungo se riposto in frigorifero a temperature non eccessivamente basse.
Dopo aver decantato il lombrico di terra in un articolo molto letto, è accaduto che, proprio nelle località di mare oggetto delle prove, la strisciolina d’aguglia non fu praticamente più usata e solo i più pervicaci insistettero con il grassello di prosciutto che più d’ogni altra esca possiede il vantaggio della conservabilità -praticamente illimitata- a zero costi. Consigliabile pertanto mettere in barca (all’inizio della stagione), un bel cartoccino con grassello di prosciutto tagliato in forma quadrata e lungo quanto un lombrico. Del resto… non si sa mai, l’avremo sempre a disposizione senza faticare ed è un’esca da provare specie in quelle giornate un po’ avare di “strike”.
Tutta una serie d’indicazioni trasversali (ma più che altro un caso fortuito e occasionale), ci accese la lampadina della “nuova idea”. Perché non provare con l’universale “bigattino”? Il caso fortuito ci fu favorito dal fatto che un amico aveva lasciato il giorno antecedente, nella nostra barca un barattolo di bigattini. Il giorno appresso – dopo la perdita dell’ennesimo lombrico causata da una “bocca furba” di chissà quale pesce- ci accorgemmo di non averne più e buttammo gli occhi sul contenitore dei bigattino. Innescammo e filammo a mare e fu… un successone! Per arrivare all’idea che descriviamo occorre un po’ entrare nella psicologia degli animali ed in particolare in quella dei pesci. Si consideri che persino gli amici più cari dell’uomo, il cane e il gatto, vengono stimolati moltissimo da chi scappa. Ed è proprio la conoscenza dell’istinto animale che ha creato le fondamenta della pesca a traina: il fatto che i pesci (che sono predatori per eccellenza), si scagliano sulla preda, sostanzialmente perché la vedo fuggire. Questo spiega anche quanto sia vero che, passando da esche vive a quelle morte e poi a quelle finte (ovvero tanto più ci si allontana dalla realtà naturale), per aver successo occorre aumentare la velocità di traina. Ho poi avuto modo di osservare che tanto più colore c’è, tanto più è facile attrarre l’attenzione del pesce, anche il rumore richiama l’attenzione ed ecco la funzione dei “teaser” uno dietro l’altro che appaiono come pescioletti che scappano e che pertanto, sbattendo sull’acqua fanno un rumore richiamante. Ho conosciuto, inoltre, idee stravaganti di traine con più esche che danno l’impressione di pescetti che si rincorrono.
Sintesi della tecnica
Tutte queste informazioni e l’esperienza fortuita di quel giorno scaturita dall’aver a disposizione solo “bigattini” dimenticati, mi fecero pertanto presupporre che anche per i piccoli o piccolissimi predatori della traina leggera o ultraleggera, la psicologia doveva essere analoga, e pertanto un giorno della scorsa estate, mi sono costruito il terminale che ormai era nella mia mente.
Quattro ami “mustad” del 10, distanti l’uno dall’altro 3/4 cm., monofilo di nylon dello 0,18 e ad 1,5 metri di distanza una girellina di quelle nere piccolissime.
Il gioco è fatto e il lombrico sarà velocemente superato nella ricerca di catturare aguglie. Del resto è più facile ottenere bigattini freschi (praticamente a costo nullo poiché un pugnellino minimo pari a 500 lire di prodotto vi durerà una settimana).
Anche per coloro che trascorressero le vacanze in tenda, lontano dai centri abitati, non sarà difficile crearseli gettando in una macchia (e rinnovandolo ogni tanto), una carcassa d’animale o di carne andata a male che ci facciamo fornire dal macellaio. Poche diecine di bigattini sono sufficienti alla pesca di tutta la giornata. Il piccolo rostrato, ma anche le occhiate, vedranno pertanto quattro bigattini o quattro gruppetti di bigattini che scappano uno dietro l’altro ad una giusta distanza per fare una certa scena ed attirare l’attenzione. Lo strike non si farà certo attendere molto e, in quelle giornate estive un po’ pigre (se non faticosissime per fare l’aguglia), avere un’ulteriore tecnica per accelerare il momento dell’entrata in pesca, non scomoderà certo.
L’inconveniente è soltanto costituito dal fatto che una molteplicità d’ami creano più facilmente imbrogli sugli stessi vista l’esilità del filo. Le catture aumenteranno non unicamente per il forte appetito che procura il bigattino a questi pesci e per l’effetto “fuggi-fuggi” molto attirante, ma anche perché, molti ami consentono di catturare il piccolo rostrato anche se non mangia; basta (com’è consuetudine dell’aguglia), che si avvicini ai bigattini per sferrare loro una stordita con il lungo becco. Molte aguglie arriveranno a bordo, infatti, non ferrate in bocca.
Tra le “varianti” si tenga presente che se si usano ami più piccoli di quelli indicati, avremo più facilmente modo di catturare aguglie più piccole (e in certe circostanze non fanno assolutamente male). In tale caso, porremo ad ogni amo un solo bigattino. Altra variante quella di disporre gli ami ad una distanza maggiore di quella sopra consigliata. La fila dei quattro gruppetti di bigattini che si rincorrono si fa più lunga ed attraente. Se vorremo diminuire gli imbrogli potremo passare a terminali con tre ami oppure, addirittura lasciare gli stessi due soli ami che usavamo per il lombrico.
Un nostro spassionato consiglio: Trainare all’aguglia portandosi dietro sempre tre o quattro terminali già pronti a quattro ami, e cambiarli non appena l’usura del finale o l’eventuale imbroglio lo consiglia. I quattro ami non ammettono distrazioni. S’impigliano facilmente su tutto con estrema velocità; pertanto attenzione a maneggiarli e a riporli nelle borse. Controllare spesso il terminale e non esitare a cambiarlo allorché durante la traina si verificano ingarbugliamenti fra gli ami stessi. Come seconda canna alternare ciò che abbiamo a disposizione con netta preferenza per i lombrichi. Non disguida, di tanto in tanto un ottimo “meciuda”, il grassello di prosciutto, il budellino o la strisciolina d’aguglia o quant’altro, in funzione dei luoghi ove si sta trainando e dei pesci che insidiamo ma….. date retta a me …. una cannetta con i quattro ametti a bigattini, non dimenticatevi mai di filarla a mare.