Molto prima che nascesse la filosofia della pesca sportiva, per chi possedeva una barca e aveva un’abitazione sulle rive del mare, una delle tecniche principali per catturare i predatori, si basava sul trascinamento delle esche artificiali o naturali, trainate a mano. Le prede che maggiormente venivano pescate con questo sistema erano occhiate, aguglie, sugarelli e quindi spigole e ricciole. Il tutto con piccole piume e cucchiaini rudimentali, mentre per i pesci più importanti venivano adoperati cefalopodi morti; chi “osava” con il vivo provava con muggini, boghe, occhiate ed aguglie. L’ avvento dei motori e soprattutto la scoperta della vetroresina, hanno fatto sì che la pesca con una piccola barca diventasse di pubblico dominio. Parallelamente le attrezzature da pesca hanno compiuto passi da gigante, con continue innovazioni soprattutto nel campo delle canne e dei mulinelli in generale, nonché quello delle esche artificiali e dei monofili.
Le grosse tavole di sughero con avvolto il nylon, si sono di punto in bianco trasformate in canne in carbonio e mulinelli con frizioni sensibili e progressive e meccanismi ad alta precisione. Nasce la pesca sportiva ed in questo caso la traina costiera, quella accessibile a tutti, con poca spesa e minimo impegno. Questa tecnica è un naturale trampolino per accedere alle più sofisticate ed impegnative discipline della media traina e quindi del big game.
Dunque è proprio la traina costiera che produce il primo impatto con tutte le problematiche legate al giusto abbinamento dell’attrezzatura, della scelta delle esche artificiali, della realizzazione di nodi e montature, ma soprattutto permette di insidiare pesci predatori difficilmente catturabili con altri sistemi di pesca.
La traina costiera si identifica facilmente in una giornata di mare in qualunque stagione, senza coercizione di nessun genere. E’ infatti realizzabile anche con piccolissime imbarcazioni o battelli pneumatici, la si può praticare in solitario, non necessita di grandi spostamenti e di conseguenza, permette di calare, poco dopo essere usciti in mare. Il freddo ed i rigori dell’inverno sono superabili con un abbigliamento idoneo, mentre contro il calore estivo ed il sole, basta un semplice cappellino, un tendalino e acqua dolce in abbondanza. Per iniziare sono da prendere in esame poche e non eccessivamente costose attrezzature. La barca può essere equipaggiata con due portacanne e l’attrezzatura base si può ridurre a due canne con mulinelli, esche artificiali e qualche piombo. Sarà poi l’esperienza e la passione (quando nascerà… perché sicuramente nascerà) a guidare verso nuove attrezzature e soluzioni.
I primi rudimenti si apprendono in mare, seguendo insegnamenti e il proprio istinto e cominciando ad immaginare dove possono essere i pesci. Bisogna imparare a conoscere -a leggere- il mare, il fondo, le correnti, capire dove stazionano i piccoli pesci e immaginare di essere sott’acqua sull’esca e cercare di farla passare dove si pensa ci sia un predatore. Ci sono poi le stagioni, la temperatura dell’acqua, i venti, le condizioni del mare e tutta una serie di elementi che con il tempo, ci daranno quei segnali giusti per il raggiungimento del nostro scopo. La traina costiera si basa più di ogni altra tecnica sull’inganno. Le esche per i pesci di superficie sono prevalentemente artificiali, ma quando si pesca con esche vive, in primo piano ci sarà l’inganno ovvero il modo di presentare alle prede l’esca.
PICCOLA, MEDIA E GRANDE TRAINA
Viene definita “piccola traina” quella adatta a pesci che non superano il chilogrammo di peso; “media traina” per i pesci da uno a dieci chilogrammi e infine “grande traina” (big game fishing) per i giganti del mare che molte volte possono superare il quintale come i grossi tonni e gli squali.
Per praticare pesca a traina nell’ambito delle tre miglia dalla costa, cioè nella fascia di mare che interessa la piccola traina, è sufficiente avere a disposizione una barchetta di quattro o cinque metri, motorizzata con un fuoribordo da quattro a nove cavalli che permetta di mantenere a lungo una velocità minima di due-quattro nodi all’ora, indispensabile per questo tipo di pesca.
In base alle attitudini delle specie ittiche che si intendono insidiare, vi sarà una “traina di superficie” per i pesci che vivono prevalentemente in vicinanza di questa quali aguglie, occhiate, spigole ecc., e una “traina di fondo” per quelli che si tengono a mezz’acqua come lecce, palamite, sgombri e sugarelli, o vicino al fondo come mormore, tracine e dentici
Quando trainare e a cosa mirare
Nelle ore coincidenti con il culmine dell’alta marea, è preferibile pescare in acqua bassa lungo le scogliere naturali ed artificiali ed alle foci dei corsi d’acqua dolce, mentre durante la bassa marea il pesce allontanandosi dalla costa, si porta in fasce d’acqua più alta e di conseguenza è preferibile trainare su fondali compresi fra gli 8 e i 15 metri.
A differenza di altre tecniche di pesca sportiva, la traina costiera non è da considerarsi prettamente stagionale; bisogna valutare solo il fatto che molte prede sono più presenti in determinati periodi rispetto ad altri.
La spigola ad esempio è un pesce tipicamente invernale che, alla fine del periodo d’accoppiamento in pieno autunno, si porta nel sotto costa fino ad aprile ed è prevalentemente in questi periodi che è possibile incappare nei bestioni di otto, dieci chili. Per il resto dell’anno, è ugualmente presente, ma con esemplari più piccoli.
L’occhiata invece è un pesce… d’aprile, nel senso che inizia proprio in quel mese la sua maggiore attività che si protrae in seguito anche fino a giugno.
Nello stesso periodo accostano le ricciole di branco, quelle fra i 300 ed i 700 grammi; mentre da settembre, si possono catturare gli esemplari che hanno raggiunto e superato il chilo e le “vecchie” -quelle nate l’anno precedente e che superano i tre chili-.
Oltre, come accennato a quelle giganti, ma di questo avremo modo e spazio per parlarne in seguito. Le lampughe sono presenti in particolare nei mesi caldi dell’anno e si catturano sempre con attrezzatura leggera per trarne il maggior divertimento.
Questi pelagici, che negli ultimi anni hanno aumentato a dismisura sia la loro presenza che la loro mole nei nostri mari, sono dei combattenti fantastici che in gruppo, si lanciano a capofitto verso le esche continuando a seguire il compagno che rimane allamato fin sotto la barca.
Concludiamo la carrellata con le aguglie che normalmente vengono catturate per divenire a loro volta esche, e che sono presenti a seconda delle regioni, per gran parte dell’anno.
Tra le tecniche di superficie, la traina alle aguglie viene praticata rimorchiando dall’imbarcazione due lenze calate da due canne da traina di 6/12 libbre, poste una a sinistra e l’altra a dritta della barca stessa. Su ognuna di queste viene montato un mulinello medio avente la bobina caricata con un monofilo dello 0,25-0,30, il quale termina con una piccola girella doppia da cui si stacca il finale. Trattandosi di un pesce sospettoso -grazie alla sua indole predatoria- il finale deve essere piuttosto sottile.
Di solito è composto da due o tre metri di nylon super dello 0,20-0,25.
Al termine del filo si ferma un amo cromato Krystal diritto del numero 10 e subito sopra questo, si legano quattro e cinque piumette bianche di marabù o di gallinaceo lunghe tre o quattro centimetri, in modo che l’amo si trovi coperto dalle estremità di queste, risultando invisibile.
Per la tecnica, da ogni canna si calano in mare 30 metri di filo, mentre la barca procede alla velocità regolata sul minimo di un motore fuoribordo da 3/4 cv. Quando l’aguglia abbocca, si rallenta l’andatura e si comincia a recuperare, senza tenere conto delle evoluzioni e dei salti in aria del pesce allamato. A volte l’attacco fallisce, proprio per la forma a becco della bocca dell’aguglia la quale, sotto la piuma, avverte il ferro dell’amo e non ingoia il boccone. Conviene perciò innescare l’amo piumato con una strisciolina lunga tre o quattro centimetri di seppia o calamaro, presentando così un’esca mista, che incita l’aguglia a ripetere gli attacchi fino a che non rimane allamata.
Per richiamare i pesci in superficie e trattenerveli, sarà utile brumeggiare il tratto di mare dove si notano i banchi delle aguglie con sardine finemente sminuzzate (in vendita nei negozi di pesca in appositi sacchetti a rete). Quando le toccate cominciano a rarefarsi, conviene effettuare un’ampia virata a passare con le traine di nuovo sulla zona brumeggiata, continuando nell’azione fintanto che i pesci non cessano del tutto i loro attacchi alle esche.
Come Scegliere il Monofilo
Nella traina costiera la giusta scelta del diametro del monofilo utilizzato per la costruzione del terminale, determina spesso la riuscita o meno della battuta in pesca. Vediamo perché.
La traina che, a partire da questo periodo fino ad arrivare ad autunno inoltrato viene praticata a breve distanza dalla costa, è condizionata da un fattore pressoché comune in tutta la penisola: l’acqua relativamente poco profonda e quindi trasparente e limpida.
Tutto ciò può causare un impedimento e di conseguenza riveste una grande importanza la scelta del filo che, se non oculata, può essere un “allarme” per i predatori.
La lenza madre a seconda del libbraggio della canna e del mulinello in uso, può variare dallo 0,18 allo 0,40. E’ importante valutare che, più una lenza è sottile e maggiore sarà la facilità di affondamento, dato che opporrà una minor resistenza all’acqua. Inoltre, sarà anche meno visibile e permetterà l’uso di terminali più corti.
In contropartita, usando piombature vicine ai tre etti è preferibile optare per lenze madri di diametro più consistente, in grado di resistere meglio ad una forte trazione.
Collegamenti
Come in tutte le tecniche di pesca, anche nella traina c’è l’esigenza di collegare due fili: lenza madre e terminale. Nel contesto della nostra tecnica sportiva, il collegamento -che sarà poi una girella con o senza moschettone- aiuta a risolvere l’handicap delle esche trainate.
Infatti, senza girelle, le esche vive o morte che siano tendono a ruotare su se stesse, sia che si traini oltre i tre nodi, sia a scarroccio. Conseguentemente non ci resta che legare una girella sulla lenza che risolverà almeno in parte il problema dell’attrito che si forma in acqua a causa dall’azione di pesca stessa. Come sappiamo, la tecnica prevede una cospicua fuoriuscita di monofilo in mare che determinerà la distanza d’azione.
A causa della pesantezza dell’esca, il terminale tende, come detto, ad arrotolarsi su se stesso creando un caos indescrivibile e obbligando spesso, a tagliare tutto e a ricominciare da capo.
Le girelle più idonee nella traina costiera, devono essere di ridotte dimensioni, in maniera tale da potere scorrere agevolmente attraverso i passanti della canna e arrivare così al terminale.
In vendita ci sono modelli con cuscinetti che garantiscono oltre alla resistenza anche una grande affidabilità. Fra queste le Sampo e le Mustad a barilotto centrale e anelli. Quest’ultime risultano economiche e di giuste dimensioni. Nei casi in cui la girella disti da un metro a un metro e mezzo dall’esca, è possibile utilizzarne una qualsiasi -ma ovviamente di qualità garantita- con cuscinetti a sfera e con moschettone.
Questi modelli, assai comuni in altri tipi di pesca, offrono il grande vantaggio di velocizzare il cambio di terminali senza dover rifare i nodi. Il moschettone in acciaio garantisce non solo una chiusura inalterabile nel tempo, ma permette anche un uso pressoché continuo nel mare senza subire danni dalla salsedine.
Le migliori sono quelle “a gancetto”, che annullano le aperture accidentali e donano sicurezza all’angler.
Vengono usate anche per collegare al terminale piccoli minnow o in genere artificiali che tendono a ruotare sotto l’attrito dell’acqua come detto sopra. Concludendo, senza di esse saremmo costretti ad annodare i due fili l’uno con l’altro con le problematiche che lasciamo all’esperienza e alla logica di ognuno di voi.
Concetto di sportività
Qualsiasi sia la dimensione della preda, utilizzando un’attrezzatura equilibrata, è possibile ingaggiare combattimenti al limite del carico di rottura della lenza. Questo è il concetto di sportività, ovvero un perfetto connubio tra attrezzatura e preda in grado procurare divertimento anche con pesci piccoli e di scarso valore. Abbracciando questa filosofia bisogna tener presenti alcuni parametri il primo dei quali riguarda l’esperienza personale.
Esistono infatti dei limiti di cui va tenuto conto e che si acquisiscono solo dopo numerosi combattimenti, ricchi di successi, ma anche di sconfitte. Tutto ciò ci farà capire le possibilità personali avvicinandoci alla giusta scelta di attrezzature e fili.
Possiamo definire sportivo un combattimento effettuato con una lenza il cui carico di rottura è pari, od inferiore al peso della preda combattuta. Tutto ciò risulterà difficile in particolare ai neofiti; occorre valutare però che un combattimento non deve essere una prova di bravura verso gli altri, ma verso noi stessi partendo dal concetto che non sempre saremo vincitori. Questo, credetemi, sarà proprio il bello della situazione: il troppo facile, con il tempo, stanca.
Magari suggeriamo anche l’impiego di canne particolarmente flessibili, e fili leggermente sovradimensionati, il che permetterà una certa agevolazione garantendo ugualmente il “brivido”. Volete un esempio?
Provate con una canna da spinning ad insidiare e combattere con occhiate e sugarelli e magari con una riccioletta intorno al chilo… vedrete che mi darete ragione.