Gennaio, mese solitamente dedicato al rimessaggio dell’attrezzatura, può regalare ai trainasti più intraprendenti delle splendide catture. Andiamo a caccia di dentici, in uno dei periodi più difficili dell’anno.
Nonostante non vanti doti combattive al pari degli altri predatori insidiabili con la traina con il vivo, il dentice è una delle prede più ricercate in assoluto. Tecnicamente impegnativa, la sua cattura è frutto di meticolose azioni e intuizioni, che spesso sfatano in maniera severa i luoghi comuni e le più classiche convinzioni sulle sue abitudini di vita. I dentici si pensava svernassero a profondità più elevate su batimetriche dove la temperatura dell’acqua era costante, ma insistendo con i nostri tentativi sulle medesime poste dove eravamo soliti insidiarlo in ben diversi periodi, si è potuti constatare che anche se, compie queste migrazioni profonde, in particolari condizioni non disdegna puntate di caccia sulle secche e sulle scogliere sommerse del sottocosta.
Le maggiori difficoltà emergono nell’indurlo ad abboccare alle nostre esche. Questa apatia, che ci ha portato erroneamente a sostenere la sua scomparsa in inverno, è il risultato di molti fattori termici e biochimici legati allo stato dell’acqua. Il grintoso sparide, è ben lungi da quell’irruente predatore che scorrazza in maniera decisa sulle cigliate spingendosi freneticamente anche a mezz’acqua per cacciare le sue prede. Si comporta invece come un “grufolatore”, muovendosi placidamente tra gli anfratti e nutrendosi a stretto contatto con il fondo. Anche l’attacco su un’appetibile esca viene effettuato con molta circospezione.
La conferma di tutto ciò è stata possibile grazie a episodi sporadici ma significativi che si sono verificati nel corso di alcune uscite invernali. E’ capitato di sondare con esche appetibili come seppie e aguglie, alcuni fondali rocciosi, ai cui margini erano stati calati dei palamiti innescati con la comunissima sardina. Sulle esche trainate nessun attacco, mentre all’amo del palamito qualche denticione non mancava. Considerando l’appetibilità di una corposa seppia, o di un calamaro, al cospetto di una sardina, a volte anche decongelata, la situazione pone perlomeno qualche interrogativo. Si è così giunti alla conclusione che bisognava trainare le esche a velocità quasi di scarroccio come nel drifting in deriva, alternando numerose pause, e lavorando notevolmente con il piombo guardiano, effettuando delle vere proprie “strisciate” sul fondo e i risultati non si sono fatti attendere.
Anche se in questo periodo l’incontro con qualche pesce fuori quota è molto probabile, l’impiego specifico di attrezzatura ultralight per tentare specificatamente i dentici e d’obbligo. Pescheremo con attrezatura stand up da 12 Lbs, e cercheremo di confezionare i terminali con monofili sottili intorno allo 0.50.
Anche gli ami dovranno essere piccoli e affilati.
Per quel riguarda le esche, i cefalopodi rappresentano il top, ma spesso, trainandoli radenti il fondo vengono mutilati da altri piccoli pesci rendendoli inservibili.
Una piccola boga, una menola, o se riusciamo a procurarcela una bella aguglia, potranno svolgere egregiamente il loro compito.
La canna andrà costantemente tenuta in mano, non soltanto per essere pronti in caso di ferrata, ma soprattutto per adeguare costantemente la profondità di lavoro delle esche, in funzione dei segnali dell’ecoscandaglio o dello stesso piombo. L’abboccata non è mai violenta, e la possibilità di numerose slamate sono una costante. Il recupero non è mai molto impegnativo, anche se con attrezzature leggere il divertimento è assicurato. Una volta staccato dal fondo infatti, il dentice si lasca trasportare in superficie senza eccessive difficoltà, e un ampio guadino a maglia larga servirà per concludere la cattura.