Con l’arrivo del freddo la traina deve essere praticata adottando parametri molto più precisi del solito. E’ vietato sbagliare la velocità dell’imbarcazione, l’uso degli artificiali e le tecniche d’affondamento. In questo articolo ne consigliamo due, un po’ passate di moda, ma sempre molto valide.
I pesci come gli anfibi e i rettili sono animali a sangue freddo e la diminuzione della temperatura ne rallenta il metabolismo, causando una consistente rallentamento delle attività fisiche.
Alcuni predatori si portano in acque più profonde dove le temperature si mantengono costanti, altri invece rimangono nel sottocosta o addirittura approfittano del freddo per concedersi all’attività riproduttiva.
La traina nel periodo invernale si effettua in modo da coprire più mare possibile con le esche trainate; questo, è ovvio serve ad aumentare le possibilità d’incontro con i predatore a caccia e in agguato.
In genere i fondali più proficui sono quelli rocciosi o misti sabbia-alga-scogli, ma non sono da sottovalutare sia per le spigole che per i pesci serra, gli arenili sabbiosi con l’onda che frange.
L’azione corretta è quella di far percorrere alle esche traiettorie parallele e trasversali alla secca o alla costa, in modo da scandagliare tratte di mare le più ampie possibili.
La ricerca è basilare e va eseguita capillarmente. Il sistema migliore per verificare sulla carte le rotte seguite durante i passaggi è quello di utilizzare un GPS sulla funzione Plotter che ci consentirà di segnare l’area di mare coperta da ogni singolo passaggio.
Dato che la maggioranza dei predatori per un risparmio energetico, basa la propria tecnica di caccia sull’agguato, rimanere fermi per sferrare l’attacco su un ignaro pesciolino, rappresenta il sistema migliore di caccia. I “ripari” da sfruttare durante l’agguato sono i più disparati e vanno dagli scogli isolati, alle cigliate delle secche, dalle franate rocciose ai manufatti portuali e chi più ne ha più ne metta. Ne consegue che se i predatori sfruttano il fondo per nascondersi, le probabilità di cattura aumenteranno se le esche verranno fatte lavorare il più possibile in prossimità del fondale.
L’inverno è per eccellenza la stagione delle spigole anche se, a causa delle alte temperature degli ultimi anni, dentici, pesci serra, ricciole e lecce, non sono più tanto rari, specialmente nei periodi di alta pressione. In questi frangenti, i predatori si portano nel sotto costa in caccia e facilitano (si fa per dire) l’azione dei pescatori che non devono avventurarsi in più o meno lunghi viaggi alla ricerca di secche o relitti in alto mare.
Oltre ai summenzionati “campioni” si possono catturare palamite, tombarelli, sugarelli e tracine che malgrado la mole piuttosto contenuta, sviluppano una grande aggressività provocando soddisfazione e divertimento.
DUE SISTEMI D’AFFONDAMENTO
Il monel
Ormai consolidatosi come sistema di affondamento, questo elemento, come il dacron piombato, affonda per peso proprio riuscendo a portare le esche fino a 22-25 metri ad una velocità di 4 nodi circa. Viene commercializzato in bobina da 100 yard vendute in coppia o in bobine uniche da 300 yard, nei libbraggi da 30, 40, 50 e 60. Ha un potere affondate molto maggiore del dacron piombato e si usa generalmente su fondali superiori ai 12 metri. La proprietà del monel è quella dell’affondamento costante, ovvero chi lo usa riesce a mantenere l’esca ad una profondità ben determinata, senza subire l’influenza della corrente. Questa è una proprietà unica, non riscontrabile né nelle piombature dirette, né nello stesso downrigger. Altra caratteristica è l’alto indice d’affondamento a velocità sostenute. Per il rapporto peso specifico/resistenza idrodinamica, il monel consente di pescare a buone profondità anche a velocità vicine ai cinque nodi, permettendo alle esche di lavorare sempre a stretto contato con il fondo. Il monel immerso nell’acqua a velocità di circa 4 nodi ( quella che generalmente si mantiene con le esche artificiali) crea una curva dovuta alla resistenza dell’acqua. Dopo aver calato un’ottantina di metri, il peso della lenza, vince la resistenza e si porta verso il fondo in linea retta diagonale. Con l’aumentare della lenza messa in acqua, aumenta anche la curva e quindi l’affondamento non è proporzionale, ma si possono ugualmente raggiungere delle profondità considerevoli. Il monel non risente dell’aggressione degli agenti marini, ma è altamente dannoso per i mulinelli la cui bobina va protetta con adesivo cerato prima di avvolgere il monel.
Il dacron piombato
Riscoperto da qualche anno, il dacron piombato è un multifilamento con l’anima in piombo, che permette l’affondamento delle esche artificiali fino a 12-14 metri circa. Viene commercializzato in confezioni da due bobine unite da 100 yard ciascuna ed è prodotto nelle dimensioni da 36 e 45 libbre.
Il suo potere affondante è lineare, ovvero con l’aumentare della quantità di lenza calata in acqua, aumenta la profondità d’azione per il peso proprio della lenza stessa, vincendo la resistenza dell’acqua grazie all’elevato peso specifico relativo alla sezione del filo. Il dacron piombato viene prodotto da diverse case -per lo più statunitensi- e ogni dieci metri di lunghezza cambia colore, per avere dei parametri di quantità di lenza calata.
Il suo potere affondate è di circa 50-60 cm per ogni dieci metri di lenza calata ad una velocità di circa quattro nodi, ma l’affondamento è sempre relativo alla corrente ed all’esca impiegata.
Utilizzo in pesca
Al monel e al dacron piombato vanno collegati i terminale in nylon, che a seconda della trasparenza dell’acqua possono variare dallo 0,30 allo 0,60. Il collegamento avviene tramite una piccola girella che scorrerà tra i passanti della canna. La lunghezza del terminale varia dai 10 ai 20 metri. Per valutare la lenza calata in acqua occorre mettere dei segnalini di riferimento sul monel. Si possono effettuare delle prove con un artificiale privato delle ancorette, procedendo a velocità di traina su varie profondità. Quando l’artificiale tocca, si recuperano 4 /5 giri di mulinello e si inserisce un segnalino con filo di nylon colorato.
Ad ogni segnalino corrisponderà una profondità. Entrambe queste lenze sono rigide, di conseguenza se utilizzate con canne flessibili, conferiranno all’esca un andamento più naturale derivato dal movimento della barca e dalle flessioni del cimino.
PESCE SERRA IN INVERNO
Uno dei pochi handicap della traina è rappresentato dalla stagionalità della maggior parte dei predatori. Ci troviamo infatti di fronte a grandi possibilità con ricciole, pesci serra e dentici in autunno, oppure con dentici e palamite in primavera, ma nei mesi invernali molti di questi predatori sembrano svanire nel nulla, lasciando all’ostinato e irriducibile trainista poche alternative. Esperienze vissute in mare ci confermarono però la presenza dei dentici e delle grandi ricciole -a notevoli profondità- anche d’inverno. Non a caso negli ultimi anni sono stati catturati esemplari di grandi ricciole in alto Adriatico, pesci che a memoria d’uomo non si erano mai visti in quelle acque.
Analizziamo adesso il comportamento delle varie specie.
Pesce serra
Il pesce serra è un migratore e compare lungo le coste italiane in primavera, si allarga sulle secche nel periodo di maggior affluenza turistica, per poi riavvicinarsi in autunno. Percorre sempre le stesse rotte ed accosta sempre nelle stesse fasce di mare. Improvvisamente scompare, come per incanto, e non per portarsi su fondali più alti e stabilirsi a profondità maggiori dove la temperatura dell’acqua è costante, come fanno le ricciole, ma fa perdere completamente le sue tracce. Spesso si incontrano branchi di pesci serra sulle stesse rotte di alalunga o dei pesci spada, anche se le catture, sono sporadiche. Poi, d’un tratto, ecco che un pescatore racconta di aver perso alcuni artificiali a causa della netta rottura della lenza sempre sullo stesso punto, oppure durante il recupero di una preda,si accorge che questa viene aggredita e “tagliata” a metà. Basta qualche voce ed ecco che i più esperti fanno il classico due più due, armano le canne per i serra e vanno in mare in pieno inverno.
Come e dove
I pesci serra in inverno si raggruppano in fitti branchi soprattutto su fondali sabbiosi in prossimità di canali o fiumi, talvolta risalendoli per un centinaio di metri. Non frequentano più le secche distanti dalla costa, ma si stabiliscono in una zona per parecchi giorni. Pescando a basse profondità e quindi con una minima piombatura, si possono utilizzare canne da 8 o 12 libbre lunghe e flessibili, con passanti ad anelli. Il terminale prevede una doppiatura di due metri composta da una prima parte in nylon dello 0,40 lungo circa un metro e mezzo, e da una seconda in treccia d’acciaio da 20/30 libbre. L’acciaio è ovvio serve per contrastare le micidiali file di denti del serra. I mulinelli dovranno essere proporzionati alle canne, preferibilmente molto leggeri e con freno modulare, mentre l’esca principale per la pesca del serra è l’aguglia, difficile però da reperire in questa stagione; in alternativa, i cefalopodi come calamaro, totano o seppia, andranno benissimo.
E gli artificiali? Possiamo mettere al primo posto i minnow con paletta metallica nelle misure da 9 a 14 cm con colorazioni molto vivaci, ed al secondo le agugliette in silicone, montate con cavetto d’acciaio e con l’inserimento di una starlite piccola. E’ preferibile operare su fondali sabbiosi in prossimità di sbocchi d’acqua dolce, quindi a profondità comprese tra i 2 ed i 12 metri.
I serra si raggruppano in modo molto fitto e non sarà raro avere abboccate simultanee su entrambe le canne in pesca. Pescando con le esche artificiali il freno sarà sullo strike e procederemo ad una velocità intorno ai quattro nodi; attaccando a tale velocità il serra si ferrerà da solo, ma non appena si sentirà trattenuto spiccherà una serie di salti che spesso gli permettono di liberarsi dall’amo.
DENTICE E RICCIOLA IN INVERNO
A differenza del serra che “appare” in inverno quando meno te l’aspetti, data la sua caratteristica di pesce pelagico, sia la ricciola che il dentice, non migrano, ma si allontanano dalla costa alla ricerca di profondità e quindi di temperatura costante.
Difficilmente li incontrremo sopra i quaranta metri, tuttaltro sarà molto più probabile trovarci di fronte ai due predatori, ben sotto i cinquanta, talvolta anche oltre gli ottanta metri (ammesso che si provi ad affondare l’esca a quella profondità).
In questi frangenti sarà opportuno l’uso dell’affondatore che permette di arrivare in maniera veloce e indolore a pochi metri dal “luogo” di azione e di recuperare la preda -malgrado la profondità e quindi la resistenza dell’acqua, senza zavorra sulla lenza.
L’azione, sarà tutta rallentata, ovvero, leggermente fuori tempo proprio a causa della quantità di monofilo in acqua e quindi potrebbe essere che la pinza si sganci leggermente in ritardo rispetto la presa in bocca dell’esca da parte del pesce. Per questo occorrerà una maggiore attenzione e accortezza nei primi momenti del combattimento.
L’attrezzatura sarà quella classica della traina sottocosta che non disdegna la sportività e quindi piuttosto leggera, supportata però da un buon mulinello eventualmente un rotante ultima generazione a doppia velocità.
Le esche, anche in questo caso, saranno quelle tipiche della zona, da non disdegnare i sugarelli che normalmente stazionano a quelle profondità; ottimi come sempre, calamari, totani e seppie.