Le maggiori difficoltà che si possono incontrare nella traina sono quelle dove l’azione di pesca si svolge nei pressi di un relitto. In questi tratti di mare, però, ci sono ottime probabilità di confrontarsi sia con i grandi pelagici sia con predatori stanziali. Ed è per questo che occorre studiare la migliore strategia per affondare le nostre esche. Vediamo come.
Da quando l’uomo ha vinto la paura del’acqua e ha cominciato a solcare i mari, nel bene e nel male, è diventato artefice di grandi cambiamenti. La navigazione e le grandi rotte hanno regalato cultura e conoscenza; ma proprio il desiderio di vincere gli oceani e quindi di comunicare e commerciare con le varie civiltà, ha portato ad ideare mezzi sempre più grandi, sempre più sofisticati ma vulnerabili alla forza degli elementi e soggetti quindi ad affondare. Esistono però dei casi in cui, una tragedia del mare, può trasformarsi in un “miracolo”.
Stiamo parlando dei naufragi che portano in fondo al mare imbarcazioni grandi e piccole, trasformandole col tempo in relitti e quindi in habitat per una moltitudine di esseri. I relitti, con il passare degli anni entrano in simbiosi con il fondo marino, creando un habitat ideale per moltissime specie. Questi ammassi di ferraglia creano delle vere e proprie oasi, dove il pesce ed i microrganismi trovano riparo e nutrimento. Nella traina non tutti i relitti rappresentano il campo d’azione ideale; quelli da prendere in considerazione sono quelli a profondità comprese tra i 25 ed i 70 metri, ma la situazione ottimale si ha quando la carcassa affondata poggia su un fondale fangoso. In questo contesto ci troviamo di fronte ad una vera e propria oasi per gli organismi marini, tanto da presentare anche specie normalmente assenti in quell’area geografica. Un’altra considerazione importante da fare è che i relitti inibiscono l’uso delle reti (sia strascicanti che di posta), di conseguenza l’habitat riesce a mantenersi pressoché vergine.
I relitti in genere sono segnalati sulle carte nautiche, ma sovente, il punto non corrisponde con quello reale in mare. La cartografia cartacea ed elettronica può aiutarci ad individuare l’area, dopodiché dovremo armarci di santa pazienza ed iniziare una capillare opera di scandaglio effettuando giri concentrici e passaggi incrociati, fino all’individuazione esatta del relitto. Fatto questo, non dobbiamo scordarci che siamo di fronte ad una situazione totalmente diversa da quelle abituali di traina. Il relitto può essere paragonato ad una secca, ma le sue pareti ed i suoi picchi sono degli ostacoli ben più pericolosi degli scogli con cui comunemente ci confrontiamo.
Le strutture metalliche rappresentano un’insidia costante per le lenze, di conseguenza dovremo pescare in modo da evitare qualunque contatto con i resti sommersi. Il sistema migliore per impostare una battuta di traina è quello di circoscrivere in superficie con delle boette ancorate il relitto con in modo da avere dei parametri visivi per effettuare le passate sul bordo, evitando quindi di finire con le esche o con i piombi sulla carcassa. Fatto questo possiamo iniziare l’azione di pesca. Procederemo effettuando dei passaggi, cercando di individuare i punti con maggiore concentrazione di pesce.
Data la particolarità della situazione si dovranno esplorare diverse fasce d’acqua per interessare più specie di predatori. Il relitto, se poggia su un fondale sabbioso, raccoglierà gran parte dei predatori che interessano la traina con le esche naturali. Nella parte bassa, ovvero tra il relitto ed il fondo, ci saranno dentici, cernie e dentici prai, mentre lungo le pareti stazioneranno in caccia ricciole e lecce. I pesci serra potranno essere presenti ma soltanto su fondali non superiori ai 20-25 metri. Per ottimizzare l’azione, sarà necessario far lavorare le esche su due fasce d’acqua. Il sistema d’affondamento più versatile ed efficace per rimanere a stretto contatto con le esche e quindi riuscire ad avvertire immediatamente l’eventuale attacco del predatore, è il piombo guardiano. Con tale sistema è possibile gestire l’azione di pesca con maggior semplicità ed intervenire all’occorrenza con rapidità e precisione. Come detto un’esca dovrà lavorare a stretto contatto del fondo (tenuto sotto costante controllo mediante lo scandaglio) e andrà ad interessare prevalentemente dentici, prai e cernie, di conseguenza è preferibile innescarla con cefalopodi (seppie o calamari) anche morti, purché freschissimi. L’esca a fondo dovrà essere manovrata in continuazione, variando la profondità d’azione a seconda delle informazioni dell’ecoscandaglio. La seconda esca andrà fatta lavorare a mezz’acqua e sarà destinata a predatori più nobili come ricciole e lecce. Data la natura di questi pesci è preferibile usare esche ben visibili come aguglie, cefali, occhiate o sgombri tutti scrupolosamente vivi. La ferrata deve essere immediata ed il pesce deve essere necessariamente spostato dal relitto nel più breve tempo possibile.