Chissà cosa smuove sparuti gruppi di pesci ad unirsi in centinaia, a migliaia e a volte a milioni di altri individui pronti ad attaccare tutto ciò che si muove. Vediamo cosa succede e come dobbiamo comportarci in traina quando abbiamo la sorte di incontrare il “branco selvaggio”.
L’ambiente marino è guidato da una complessa serie di equilibri primordiali e da istinti comportamentali che si perdono nella notte dei tempi. Uno dei più comuni è quello della vita di branco che permette allo stesso tempo offesa e difesa. Gran parte dei pesci conserva perennemente le abitudini che hanno reso possibile la sua sopravvivenza e crescita e, anche se alcune specie non posseggono nemici naturali, continuano a vivere e a cacciare in gruppo. Proprio questi spostamenti consentono al pescatore di individuare dalla superficie l’attività predatoria.
Cosa si vede dalla barca
Una delle azioni più comuni dei pelagici ovvero delle specie che vivono e solcano l’alto mare, consiste nell’inseguimento dei banchi di piccoli pesci e nel successivo pilotaggio verso la superficie che precede l’attacco finale e fatale a pelo d’acqua. Così caccia gran parte dei pesci come tonni e alcuni mammiferi marini come balene e delfini che, a onor del vero, usano strategie fantastiche degne appunto della razza a cui appartengono. Quindi attacchi studiati con una vera e propria tattica intelligente. La fase finale dell’azione predatoria è ben visibile dalla superficie grazie ai salti e alle bollate a pelo d’acqua dei pesci predati. Il più delle volte tale attività viene condivisa con gli uccelli marini e prende il nome di mangianza.
In caso di mangianza
La prima cosa da accertare è la specie che la effettua. Non è facile, ma è necessario capire se si tratta di tunnidi, palamite o altro per due motivi: regolare la distanza delle esche dalla barca e determinare il diametro del terminale. Tutto ciò per non trovarsi impreparati davanti, ad esempio, a tonni intermedi che possono superare i trenta chili. Accertata la mangianza, è necessario procedere con cautela, avvicinandosi lentamente a 5-6 nodi, volgendo la prua verso il limitare dell’attività. E’ fondamentale mantenere la calma a bordo, soprattutto per una giusta scelta e montaggio corretto delle esche. A questo punto lo skipper deve mettere la prua sul bordo esterno dell’attività predatoria e valutare bene la distanza delle esche dalla poppa, in modo da eseguire più passaggi concentrici evitando di passare con la barca nella zona dove il pesce sta mangiando. Se si “taglia” per sbaglio la mangianza il branco dei cacciatori tende ad affondare con il risultato di interrompere inesorabilmente l’azione. Se si tratta di tunnidi o palamite, le ferrate potranno essere simultanee coinvolgendo anche tre canne contemporaneamente. Il divertimento… è assicurato.
Richiami artificiali
Sovente il branco in mangianza, non appena percepisce il rumore della barca, si porta in profondità. Lo stesso può succedere quando si scorgono le bollate in superficie, che svaniscono con l’avvicinarsi del mezzo nautico. Non scordiamoci però che l’attività dei predatori non cessa, ma continua sotto la superficie. In questi casi risultano molto valide le esche trainate in superficie che simulano una mangianza a pelo d’acqua: i teaser. I più indicati per i nostri mari sono quelli a forma di “aeroplanino o uccellino” muniti di alette laterali che conferiscono un movimento ondulatorio con schizzi e sbuffi d’acqua. A questi richiami si abbinano dei piccoli squid armati con uno o due ami o delle testine piumate.
Tecnica e strategia di pesca
Risulta essere abbastanza usuale che ricciole e pesci serra caccino in superficie con velocissime e repentine azioni indirizzate verso la costa. Queste due specie adottano una tecnica personalizzata che tende a spingere pesci come cefali e aguglie verso gli scogli o la spiaggia compiendo un vero e proprio semicerchio intorno al branco, obbligandolo verso terra ove avverrà l’attacco. Di fronte ad altre specie come occhiate, sugarelli e boghe le ricciole preferiscono indirizzarle verso il fondo. Individuato il branco lo accerchiano dall’alto costringendolo a una fuga scomposta verso i fondali… l’esito è sempre lo stesso e fa parte dell’eterna lotta per la vita. Può capitare altresì di incappare in cacciate di ricciole in alto al mare, all’inseguimento di tonnetti; in questo caso riuscire a catturare un esemplare e ad innescarlo significa avere una grande possibilità di ferrare il “bestione”. Ma la difficoltà sta proprio nel riuscire a mantenere viva l’esca; infatti, una volta in barca, il tonnetto tende velocemente a perdere di vitalità e a morire.