La pesca dalle coste rocciose con la bolognese, è una tecnica italianissima che vive in questo periodo uno dei momenti migliori. E’ praticamente imbattibile per tentare i grintosi sparidi che scorazzano tra la risacca della scogliera. La loro cattura non è mai cosa facile, e non sempre basta un’appetitosa esca per trarli in inganno…
Le onde che si infrangono con violenza sugli scogli, sono un banco di prova durissimo per tutto il complesso pescante. I terminali soprattutto, si trovano in situazioni di forte turbolenza, e oltre a resistere ai grovigli devono garantire una presentazione dell’esca ottimale, che anche in queste circostanze deve essere il più naturale possibile. Forse qualche tempo fa, quando numericamente i pesci erano più presenti, una constatazione del genere non avrebbe retto, sicuramente un boccone nell’onda sarebbe stato attaccato senza particolari sofismi e senza nessun indugio.
Oggi, i pesci, sono ben lungi da ingoiare qualunque cosa capiti a tiro, e i pesci gregari, paradossalmente, sembrano più scaltri degli altri. Entrano in competizione raramente e “collaborano” nell’identificazione del pericolo.
Quante volte infatti è capitato che la perdita di un esemplare di sarago durante il recupero ha causato l’allontanamento di tutto il branco. Questo serve per farci capire che ogni cosa può avere importanza ed effetti superiori a quelli preventivati.
Nel confezionamento dei terminali, intenti a scegliere ami e lenze, tralasciamo come evento secondario il posizionamento e il dimensionamento della piombatura attiva, condizionandola più alla corretta taratura del galleggiante che non alle esigenze dei pinnuti. Niente di più sbagliato. Quell’inanimato e grigio peso, darà vita e ordine al moto delle nostre esche, bilanciandone il “nuoto”.
Pescando in condizioni di forte turbolenza, non c’è spazio per i terminali da “mostra”, ossia pallini a scalare, torpille scorrevoli ecc. ecc., tutto deve essere il più semplice e funzionale possibile, facile da modificare e da realizzare ad occhi chiusi.
Le lenze devono stendersi contro vento, resistere alle onde, agli incagli e a tutta quella robaccia in sospensione che circola in risacca. Niente ricami, ma funzionali e semplici soluzioni tecniche. Montato il galleggiante sferico passante sulla lenza madre, e bloccato affinché non scorra, legheremo al di sotto una microgirella alla quale andrà legato uno ed un solo bracciolo, realizzato con un unico spezzone di lenza di diametro variabile tra lo 0.12 e lo 0.16, lungo in funzione del fondo, e mai inferiore ai due metri anche in poche spanne d’acqua.
Le prede che circolano in questi ambienti saranno solitamente saraghi e occhiate, con qualche bella spigola o orata che potrebbe interessarsi alle nostre insidie. A questo punto la piombatura del bracciolo sarà fondamentale per selezionare le nostre ambizioni, sempre però considerando che in ogni caso e comunque potrebbe accadere l’impensabile.
Purtroppo l’eccezione non fa regola, e quindi spetta a noi giocare in maniera specifica le carte buone, anticipando i pesci e cogliendoli vittima delle loro abitudini. Se le nostre mire saranno le occhiate, piomberemo il nostro bracciolo con un unico piombino spaccato di diametro 3 mm, posto circa a metà, comunque sempre ad almeno un metro e mezzo dall’amo, che sarà in questo caso un ottimo e affilatissimo n°16 specifico per bigattini. I saraghi invece andranno cercati nella fascia d’acqua sottostante, e quindi sarà necessario aumentare la piombatura. Per praticità non cambierà nulla, la configurazione di base sarà identica. Posizioneremo almeno due piombini sempre da 3 mm, a circa 80 cm dall’amo, che sarà leggermente più robusto per esche più corpose.
Un eccellente n°12, per innescare dei piccoli pezzetti di gambero potrebbe fare al caso nostro, mentre ne ridurremo le dimensioni se intenderemo utilizzare ancora il bigattino. Se le condizioni di turbolenza non permettono alle nostre esche di raggiungere il fondo, e non registriamo catture di saraghi di cui siamo certi della presenza, dovremo osare di più, facendo sondare alle nostre esche gli anfratti più difficili. Porteremo a tre i pallini di piombo, e li avvicineremo a 50 cm dall’amo.
Se gli incagli si susseguono e ci scoraggiano, bisogna ricorrere ad uno stratagemma che si è rivelato in alcuni casi risolutivo e geniale. Siccome otto volte su dieci sono i pallini che vanno ad incagliarsi, li posizioneremo derivati su dei piccoli braccioli lunghi mezzo centimetro realizzati sul terminale con un sottile 0.10. Questo permetterà in caso di incaglio di preservare il tutto sacrificando soltanto il piombo. Così facendo e inseguendo il risultato con determinazione e ponderate valutazioni, le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare, e in condizioni così impegnative valgono doppio… Ah dimenticavo, 100 metri di filo per terminali e 25 ami consumati in una battuta di pesca spesso sono nella norma… nella norma delle giornate da ricordare.