Ci stiamo, lentamente, avviando alla primavera e molti di noi rispolvereranno canne, mulinelli ed attrezzatura varia.
Ecco, quindi, alcuni piccoli accorgimenti (manutenzione e controllo) che sarebbe necessario porre in atto prima di riprendere i propri attrezzi ed andare al mare, specialmente se il tutto giace da qualche mese abbandonato in cantina o in garage. Premetto che le righe che seguiranno sono frutto di esperienze, per meglio dire errori, perpetrati, a volte con insospettabile perseveranza, dal sottoscritto che si è trovato costretto a scrivere in un blocchetto le operazioni da porre in atto per evitare di trovarsi nella condizione di dover interrompere una bella giornata di pesca a causa della propria trascuratezza. Questo ripassino è, quindi, non solo dedicato ai lettori, ma, soprattutto a me stesso. Vediamo le operazioni che sarebbe opportuno compiere su canne, mulinelli, attrezzatura e guadino.
Canne da pesca
Il primo controllo da effettuare riguarda la struttura della canna. E’ necessario passare al setaccio tutti gli elementi e verificare la loro integrità che potrebbe essere stata lesa. Ricordiamoci che i composti di carbonio usati per rendere le bolognesi leggere e maneggevoli, hanno tutti i pregi del mondo tranne quello della robustezza. Sarà anche importante aprire la nostra canna da pesca e controllare che ogni elemento non fuoriesca dalla sua sede. Questo inconveniente è molto più frequente di quanto si possa credere perché la salsedine, gli schizzi del mare e la sabbia hanno un effetto “carta vetrata”, deleterio per gli incastri della canna che potrebbero non tenere più. Sarà necessario sostituire i pezzi danneggiati, ricordandoci che gli unici due elementi non originali che si possono usare, anche se sarebbe meglio evitare di farlo, sono il piede ed il cimino, vale a dire le due estremità, mentre per tutti gli intermedi, avendo una flessibilità collegata tra loro, sarà assolutamente vietato ricorrere ad arrangiamenti, usando parti di altre canne inutilizzate.
Un’ottima soluzione fai-da-te, per porre rimedio a questo inconveniente, è ricreare lo spessore mancante con la colla attak, farla asciugare per qualche minuto, poi carteggiare con carta vetrata finissima per levigare e rimuovere grumi, fino a ricreare un incastro perfetto. E’ bene ricordare che, purtroppo, questa soluzione ha una scarsa durata e va ripetuta ogni sei mesi. Passeremo, come secondo punto, a controllare la piastra porta mulinello verificando il movimento dell’ingranaggio di chiusura sulla slitta di scorrimento e quanto forza il gancio di fermo. Il tutto si deve muovere con un movimento fluido, senza particolari forzature
In ogni caso sarà bene lubrificare ogni cosa con un olio spray ad azione sbloccante, evitando di usare grasso od oli viscosi che, con il tempo, raccoglierebbero polvere ed impurità varie formando un “malloppo” che ostacolerebbe, invece di favorire, lo scorrimento degli ingranaggi. Il terzo controllo sarà rivolto alle legature guardando che nessun filo esca fuori e lo strato vetroso, creato dalla colla bicomponente, sia intatto. Qui non abbiamo altre soluzioni che rimuovere la legatura vecchia e farne una nuova. So per conoscenza personale che molti amici pescatori non hanno in simpatia o non sanno compiere questa operazione. Lungi da me insegnare in modo teorico come fare una legatura, perché ritengo sia difficile avere risultati positivi se, la prima volta, non si è affiancati da un amico esperto (grazie Edmondo per quel pomeriggio d’inverno di qualche anno fa).
Cassetta
Il primo controllo riguarderà la robustezza della struttura e delle chiusure della nostra cassetta che dovrà essere integra. Spesso, infatti, il percorso per raggiungere le postazioni di pesca non è agevole e non esiste nulla di più sgradevole che sentire un sinistro “crac”, mentre stiamo abbarbicati come capre fra gli scogli o stiamo attraversando in precario equilibrio un tratto di mare.
Le conseguenze del famigerato “crac” è di vedere galleggianti, ami e quant’altro disperso in un pertugio irraggiungibile tra le rocce oppure trasportati via dalla corrente del mare.
Perciò, bando agli indugi, dovremo mettere mano al portafogli e sostituire la nostra casetta se non sarà in perfette condizioni.
Dovremo poi controllare fili, ami e galleggianti.
Fili
Gli elementi che formano i nostri fili di pesca tendono a deperire soprattutto a causa degli agenti atmosferici e dello sfregamento, oltretutto, più i nostri diametri saranno fini e maggiori saranno le possibilità di danneggiamento. Pensare di ritrovare le stesse caratteristiche di robustezza ed elasticità, dopo che la nostra bobina è stata ripetutamente bagnata dagli schizzi del mare pieni di salsedine, lasciata su uno scoglio sotto i raggi del sole d’agosto e, infine, riposta in una macchina che è diventata un forno bollente, è una vera e propria utopia. Sarà necessario, allora, fare due piccole prove per testare la tenuta dei nostri nylon (anzi ex nylon visto i nuovi composti che sono usati). Come prima cosa svolgeremo il filo e, se rimarrà arricciato od in spire circolari, saremo di fronte al primo campanello d’allarme perché vorrà dire che ha preso memoria. La seconda operazione da compiere sarà di provare, intrecciando intorno alle mani due capi, la resistenza. Se, al minimo sforzo, si spezzerà senza la minima resistenza, vuol dire che le scorribande marine lo avranno reso inutilizzabile e provare a pescarci sarebbe positivo solo per i pesci. Risulta essere ancora più importante ripetere le stesse operazioni anche con i fili imbobinati sui nostri mulinelli che devono srotolarsi senza il minimo intoppo.
Ami
Il primo sguardo è fondamentale.
Se anche un solo amo avrà un accenno di ruggine, sarà necessario, purtroppo, buttare tutti gli altri che sono stati nello stesso contenitore, infatti, anche l’acciaio più temperato avrà perso la sua caratteristica e la durezza, spezzandosi con estrema facilità. Quindi per evitare di buttare denari è meglio non unire grosse quantità d’ami nello stesso contenitore. Il secondo controllo da fare riguarderà la punta. Non chiedetemi il motivo scientifico, se le percentuali di carbonio che induriscono il ferro per formare l’acciaio sono sufficienti, fatto sta che gli ami del 16, 18 e 20, di tutte le forme e marche, che sono usati per pescare con la bolognese, perdono la punta con estrema facilità. A volte è necessario cambiarli dopo poco tempo perché, quando proviamo ad innescare, i nostri bigattini, invece di rimanere vitali e mobilissimi, si spappolano in modo irreversibile. Anche in questo caso è meglio rimpinguare la nostra cassetta con una bustina d’ami per ogni tipo usato pronti a sostituirli, senza indugi, al minimo dubbio.
Galleggianti
Dopo avere speso per cassetta da pesca, fili ed ami, qualche intervento di recupero sui galleggianti si può effettuare, per cercare d’arrestare l’emorragia delle nostre tasche.
I galleggianti classici (per quelli di tipo inglese chiedete informazioni all’esperto Max Cerino) che, generalmente, sono usati per la pesca con la canna bolognese si danneggiano in tre punti: la sede porta astina, l’anellino passafilo e la deriva. La sede porta astina, tende a sbeccarsi o a creare delle crepe, quindi il nostro segnalatore ci “sciacqua” dentro e diventa inutilizzabile.
La colla “attak” ci aiuterà a saldare i pezzi danneggiati e le crepe, ma, qualora il nostro intervento risultasse vano, non ci resterà che incollare con qualche goccia l’astina alla sede e ci limiteremo ad usare quel galleggiante quando pescheremo di giorno. Nessun problema per l’anellino passafilo. Molti pescatori (se a qualcuno può interessare anche il sottoscritto) non usano mai quest’accessorio, anzi con un paio di pinze lo eliminano, per montare il galleggiante alla lenza che è fissato solo con degli scubidou. Per l’astina è utilizzato un pezzettino di quelli trasparenti che si trovano nella bustina degli start-lite (questo favorisce anche un’eventuale modifica della montatura in corso d’opera), mentre per la deriva, quelli classici. I perfezionisti possono bloccare il pezzettino di plastica nella parte superiore dell’astina cercando così, in caso di lancio maldestro, di evitare l’aggrovigliamento della lenza. Le derive dei nostri galleggianti, specialmente negli ultimi modelli, sono in vetroresina, un materiale profondamente diverso dal legno di balsa che ne compone il corpo e se ciò favorisce la rapidità dell’entrata in pesca, crea anche una certa fragilità. La solita colla ci soccorrerà per riparare eventuali fratture, ma ci dovremo ricordare sempre di aumentare i “fermi” sulla deriva per limitare gli effetti della pressione dell’acqua quando ci troveremo a combattere con un pesce di taglia.
Guadino
Ecco un elemento fondamentale che è spesso trascurato dai pescatori.
Tralasciamo ad altri spazi la descrizione tecnica del guadino ideale per pescare con la bolognese, concentrandoci sulla manutenzione del nostro. I guadini, generalmente, possono essere di due tipi: metallico o fibra (carbonio, composti vari ecc.) Dopo avere costatato l’integrità del manico di entrambi (elemento fondamentale) passeremo alla manutenzione. Se ci troveremo davanti ad un modello metallico dopo un accurato lavaggio e pulizia lubrificheremo il tutto con lo svitol e, qualche ora dopo, cercheremo di impermeabilizzare il tutto con uno spray al silicone. Controlleremo, successivamente, il sistema d’apertura e chiusura che, purtroppo, in questo tipo di guadino è spesso instabile.
Nel caso di qualche dubbio, sarà il caso di ricordarci di bloccarlo anche con del semplice nastro isolante, onde evitare di ritrovarsi, nel momento del bisogno, con il guadino che si è chiuso in mare. Guarderemo infine la rete controllando i buchi e le maglie rotte. Se i danni non sono rilevanti si può anche non intervenire, anche perché i pesci che, si spera, dovremo guadinare non saranno, poi, così piccoli, altrimenti un buon filo di diametro 0,25 ci sarà utile per riprendere la rete dove necessario. Il controllo sulla rete sarà identico anche nei guadini di fibra. Qui invece il punto critico è dato dall’impanatura della boccola con cui s’innestano al bastone. Salsedine ed altri elementi corrosivi prima o poi la danneggiano con i seguenti risultati: o il maschio della testa non si avvita più, oppure sciacqua dentro la boccola. Nel primo caso aiutandoci con tenaglie ed un lubrificante potremo ricreare l’impanatura ideale, nel secondo caso dovremo sostituire il pezzo. Usando il nastro isolante daremo il giusto spessore alla boccola, qualche goccia d’attak ed un ulteriore rinforzo di nastro ci saranno utili per terminare l’opera.
Il bastone in fibra andrà sempre smontato, lavato ed asciugato per rimuovere eventuali impurità che potrebbero ostacolare gli incastri.
Abbiamo revisionato canne, attrezzatura e guadino, quindi, a rigor di logica, saremo senza indugio, pronti a buttarci a pesca ma, secondo me, bisognerebbe dedicare qualche ora per verificare il buon esito dei nostri interventi. Quindi (scandalo!) io mi reco sempre in qualche laghetto di pesca sportiva per testare il tutto. Metto il mio galleggiantino, il finale che voglio provare (0,12-0,10), monto il guadino, ingaggio le mie estenuanti lotte di dieci minuti con le trote, con buona pace di chi mi guarda come un extraterrestre, essendo abituato a bombarde e finali 0,18-0,20 che gli consentono di portare a riva il pesce in pochi secondi. Solo quando sono sicuro che è tutto a posto ritorno all’amato mare.