Risulta essere difficile determinare esattamente come alcuni pesci attaccano le prede. Proviamo a dedurlo dallo stato dell’esca che torna a bordo dopo un cappotto e vediamo, invece, come reagiscono alcune delle prede classiche della traina, in caso di successo.
Chi di noi non ha mai sognato di poter vedere l’esca nel momento in cui viene aggredita, alzi una mano e chi non ha sognato di vedere come si comporta un pesce durante la sua difesa per riguadagnare la libertà, ne alzi due. Alcuni filmati sul mare e sui suoi abitanti ci hanno mostrato gli attacchi dei predatori alle specie di branco, ma nessuno ha pensato o ha potuto filmare la “toccata e fuga” del pesce allamato. Molti di noi hanno avuto la fortuna di osservare un predatore che afferra l’esca e se ne va, i più fortunati -specialmente nel big game al tonno, hanno subìto l’attacco appena calata la lenza in mare. Ma è solo l’esperienza e l’osservazione attenta di tutta l’azione che ci permette di farci un’idea probabilmente molto vicina ala realtà a di come i nostri predatori aggrediscono le esche e conseguentemente come si comportano una volta allamati.
Dentice
Il dentice, il pesce del momento è in assoluto una tra le prede più ambite della pesca in maresia per la qualità delle sue carni, sia per la sua maestosa bellezza; ultimo, ma non per importanza, è un pesce che può superare i dieci chili. E’ un predatore che possiede uno spiccatissimo senso della territorialità, che lo porta ad attaccare anche solo per invasione involontaria del suo “regno”. Si può pescare anche con esche artificiali e, a tal scopo, capita spesso di ferrarlo all’esterno della bocca, il che evidenzia un’aggressione sferrata a scopo di “cacciata”. Questo accade sovente nel periodo di riproduzione, in questa fase non ammette intrusioni nel suo territorio e come molti altri animali tende ad allontanarli con le armi a sua disposizione: i denti. Quando è in caccia vera e propria può inseguire l’esca anche per diversi metri afferrandola in genere dalla coda o al centro.
Dopo essersela assicurata saldamente tra i denti (questo succede però in un millesimo di secondo) la piega in due e la ingoia. Come la ricciola, però, se dopo aver sferrato il primo attacco, si accorge dell’amo, è capace di scansare gli eventuali altri, mordendo ripetutamente l’esca al centro e in coda. Per avere più probabilità di successo appena si avverte il suo inconfondibile strattone, bisogna abbassare la canna e, quando la lenza si pone di nuovo in tensione, si deve ferrare energicamente. Nonostante queste accortezze, spesso, le ferrate sono a vuoto e l’esca o si “disintegra” o torna in superficie come “ciucciata”. Appena allamato compie una veloce e potente fuga, ma dopo la prima sfuriata viene a galla velocemente, per dare fondo alle ultime energie in prossimità del guadino.
Ricciola
Proseguiamo con la ricciola, gioia e dolore della traina del sottocosta, vuoi per la taglia che può raggiungere, vuoi per la sua particolare combattività, questo pesce è da sempre uno dei più “cacciati”. Allo stato adulto, a causa della sua sospettosità è possibile insidiarla quasi esclusivamente con le esche vive. Ma a volte non basta, infatti, può accadere di avvertire un colpo secco e di recuperare l’esca intatta. Si presume in questo caso che l’animale abbia toccato col muso il vivo allamato per saggiarne la reazione e non abbia mangiato perché ha avvertito un’anomalia In ogni caso la sua strategia di caccia è la seguente: si apposta a mezz’acqua, o immobile sul fondo al riparo di una cigliata, ed insegue le sue prede anche per decine di metri. Attacca in testa o metà corpo le esche trainate. L’aggressione è sempre molto violenta, anche se, quando riesce ad avvertire il metallo dell’amo prima che si configga, riesce a “sputare” il boccone ormai, scarnificato.
Conviene sempre, quando si vede il cimino della canna flettersi, abbassare l’attrezzo per dar modo agli ami di agire prima di ferrare. Una volta allamata può dare l’impressione di venire incontro alla barca, ma non appena si sente ferrata parte in una velocissima fuga, puntando sempre il fondo e le rocce per recidere quel “qualcosa” (il monofilo) che le trattiene. La ricciola non si dà mai per vinta salvo dopo aver dato fondo a tutte le sue energie. Gli esemplari più combattivi sono i maschi riconoscibili per la lunghezza del corpo che si presenta affusolato con la coda molto grande; questi raggiungono il massimo del vigore quando il loro peso si aggira tra i 25 ed i 30 chili. Gli esemplari più grossi dei nostri mari possono arrivare e talvolta superare i sessanta chili.
Spigola
la “Regina”, così viene chiamata la spigola, è il predatore più comune delle nostre coste e viene insidiato in particolare nella stagione invernale. La maggior parte dei suoi attacchi li sferra all’agguato sfruttando la sorpresa ed un veloce guizzo per afferrare l’esca. Vive indifferentemente sia nelle acque salmastre, risalendo a volte anche di diversi chilometri i fiumi, sia in nel sottocosta, nei pressi delle barriere frangiflutti. Il suo regno, però, sono i porti, dove può destreggiarsi nella caccia alla minutaglia presente. Ciò malgrado, la sua bocca le consente di aggredire anche pesci di notevoli dimensioni; dopo averli afferrati, li ingoia dalla testa.
L’approccio alla preda è veloce e preciso: attacca a metà corpo dal basso verso l’alto. Sulle esche artificiali, resta spesso ferrata all’ancorina centrale, sovente esternamente alla bocca, questo a causa della sua abitudine di stordire le prede colpendole con il muso prima di far “lavorare “ le mascelle.
Nella traina con il vivo è fondamentale lasciarla ingoiare bene altrimenti è rapidissima a sputare l’esca al primo accenno di anomalia. Una volta allamata, non oppone grande resistenza. Le poche energie le concentra all’arrivo sotto bordo, momento in cui tenta il tutto per tutto. In genere non va mai a cercare il fondo, ma quando lo fa è difficile riportarla in superficie. E’ una delle specie più insidiate dei nostri mari, non molto per la sua resistenza, quanto per la bontà delle sue carni già conosciute nell’antica Roma dove veniva chiamata “Lupus Tiberinus” in virtù del fatto che frequentava comunemente il Tevere nel centro dell’Urbe.
Pesce serra
Oramai diffuso uniformemente su tutte le coste del Tirreno, il pesce serra è ricercato da moltissime persone sia per la sua combattività sia per la difficoltà di ferrata. E’ sicuramente il pesce più istintivo nelle nostre acque, tanto da essere considerato tra i più “cattivi” al mondo. Si dice che uccida le sue vittime senza cibarsene, non è raro infatti trovare pesci divisi a metà dopo il suo passaggio. E’ fornito di una dentatura terribile: in pratica due lame capaci di tagliare sia nylon che kevlar e a volte anche il cavetto d’acciaio. Nonostante l’aggressività non una “facile ferrata”. Si lascia ingannare soltanto da esche vive o anche morte ma solo sapientemente innescate. Attacca sempre in velocità mordendo e mutilando l’esca, spesso senza toccare gli ami. Se si traina in superficie, è possibile vederlo arrivare come un fulmine sull’esca.
Un valido sistema per ferrarlo è quello di lasciare il freno sul free e non appena attacca, concedergli il tempo di ingoiare completamente esca ed ami. La ferrata si esegue dopo aver ceduto filo per una diecina di metri, portando la leva del mulinello sullo strike ed alzando rapidamente la canna. Il serra si difende ala cattura compiendo salti ed acrobazie fuori dall’acqua, tentando e spesso riuscendo a tagliare il terminale. Per questo motivo, è pressoché obbligatorio usare esclusivamente terminali in acciaio. E’ una vera preda sportiva che oppone sempre una difesa incredibile.