Siamo d’inverno e il grande freddo è arrivato e con sé ha portato una serie di varianti e abitudini alla nostra vita quotidiana a cui non eravamo più abituati. E come sono cambiate le cose di tutti i giorni a causa di questa onda gelida polare, anche nel mondo della pesca, le tecniche si sono dovute adeguare adeguarsi in relazione alle condizioni climatiche. Quindi, insieme a sciarpa e cappello tutte le volte che ci recheremo nei pressi di una scogliera per una battuta di pesca, non dovremo dimenticare una “particolare” cosa che potrà garantirci chance in più rispetto a quello che normalmente portiamo con condizioni climatiche “normali”.
RICHIAMO OLFATTIVO AL POSTO DEL RICHIAMO VISIVO
Questa particolarità non riguarda l’attrezzatura varia, né fili, né montature fuori dalla norma ma solo la comunissima esca da dover applicare all’amo. Abbiamo voluto appropriare all’esca l’aggettivo particolare poiché nelle condizioni climatiche che hanno caratterizzato l’Italia durante il mese di gennaio con temperature vicino allo zero anche in riva al mare, per la pesca dalla scogliera con la bolognese, individuare e quindi adottare l’esca giusta può trasformare un cappotto in un successo clamoroso. Il motivo? Presto detto…
Tutti gli invertebrati in natura aumentano il proprio metabolismo con l’innalzarsi della temperatura; questo crea in loro un aumento del movimento -quello stesso movimento- che caratterizza per la sua particolarità alcune esche che siamo soliti utilizzare.
I bigattini, ad esempio, ma anche altri anellidi, hanno un movimento quasi frenetico con temperatura nella norma, ma con basse temperature quasi si fermano; quindi dato che la loro forza attrattiva sta proprio nel fatto che, con il loro “danzare” in acqua emettono delle vibrazioni che richiamano diverse specie ittiche, è controproducente utilizzarle quando le condizioni climatiche ricordano più le regioni polari che mediterranee. Una valida alternativa a questa situazione ambientale è l’uso di esche che hanno come potere attirante non il movimento ma l’aroma.
ALLA RISCOPERTE DELLE CLASSICHE ESCHE PER IL MARE
La sarda, o la comunissima pasta aromatizzata, ad esempio, sono due ottime varianti alle solite esche. Spesso però cambiare abitudine non è facile e ci troviamo ad insistere (sbagliando) sull’uso della solita esca nel caso specifico proprio del bigattino appena citato. Ma forse è arrivato il momento di riscoprire quelle esche che invece hanno regalato anche nella tecnica della bolognese grandi soddisfazioni. Certo è anche vero che innescare un tocchetto di sarda al posto di due bigattini su un amo dell’otto invece che su un amo del sedici non è la stessa cosa dato che il numero di toccate che andremo a vedere saranno totalmente differenti; secondo noi, però… il gioco vale la candela.
Comunque sia la montatura che dovremo utilizzare per il tocchetto di sarda non dovrà essere particolarmente leggera e fluttuante, tutt’altro se sarà statica sarà meglio. Per questo, consigliamo l’utilizzo della torpilla montata su un filo madre dello 0,16 di diametro. La torpilla fermata con due piombini permetterà di portare l’esca in prossimità del fondo velocemente. Per quanto riguarda l’amo da utilizzare un numero dieci o al massimo un otto andrà più che bene. Utilizzando la torpilla come piombatura dovremo distanziare il successivo amo -legato su un terminale dello 0,12 o 0,14 – di circa quaranta centimetri. Come avrete potuto notare il calamento costituito da un galleggiante, una torpilla e un amo del numero dieci è molto semplice e lineare nella sua realizzazione ma abbinato al tocchetto di sarda, forma un “cast” vincente.
Il galleggiante come sempre andrà scelto in relazione alle condizioni meteo marine, ma dato che l’esca che andiamo ad utilizzare si distingue anche per il fatto che non impone delle finezze particolari, non occorre andare tanto per la leggera, ma utilizzare tranquillamente galleggianti da tre a cinque grammi di portata.
Ultimo consiglio, prima di recarvi a effettuare la battuta di pesca, consiglio di preparare i tocchetti di sarda, di tagliarli e custodirli avvolti su dei giornali in modo da assorbire e quindi conseguentemente indurire il pezzetto di sarda.