Divenuti sempre più smaliziati, i dentici necessitano di tecniche sofisticate e soprattutto di una mano molto sensibile. Vediamo allora come ottimizzare la traina con il vivo iniziando dalla ricerca e continuando con un sistema che ci permette di ridurre al minimo le possibilità di “cappotto”.
Nonostante grande parte dei pescatori sportivi continui ad asserire un sistematico ed irreversibile impoverimento dei nostri mari, alcune specie non solo non sono diminuite, ma addirittura hanno incrementato lo stock presente nel Mediterraneo. Una di queste specie è il dentice, che negli ultimi dieci anni si è tranquillamente riprodotto ed ha notevolmente aumentato la propria presenza. Tale predatore infatti non è insidiabile con sistemi di “sterminio di massa” da parte dei professionisti anche se i più arditi hanno ideato delle cianciole specifiche per la sua pesca, ma che comunque non riescono a causare un danno eccessivo.
Come molti ormai sapranno il dentice è un predatore che predilige la fascia d’acqua in prossimità del fondo. Generalmente si trova a stretto contatto con il fondo sfruttando gli anfratti e le cigliate per celare la sua presenza ad eventuali prede. Non per questo la sua ricerca deve essere necessariamente effettuata radendo il fondo. Ci sono casi in cui la temperatura dell’acqua è tale da indurre i “nostri” a salire portandoli a cacciare a mezz’acqua.
Negli ultimi anni, proprio grazie al surriscaldamento dell’acqua, il dentice non compie più spostamenti considerevoli alla ricerca di temperature costanti, bensì rimane stanziale tutto l’anno nei pressi delle secche, con comportamenti del tutto nuovi ed inattesi. La profondità alla quale si sente maggiormente a proprio agio è compresa tra i 20 ed i 50 metri, ma proprio a causa degli sconvolgimenti atmosferici, lo si trova, senza eccezione di stagione, sia in fondali bassissimi che a profondità superiori ai 100 metri. Questa anomalia comportamentale fa sì che i parametri elaborati in anni ed anni di pesca, non siano più riscontrabili nella pratica e quindi, occorre ritornare al vecchio istinto, partendo da un fedele e sincero partner di pesca: l’ecoscandaglio.
Il dentice in genere è molto aggressivo ed attacca le sue prede con violenza e decisione. Molto spesso però il morso alle esche non è determinato da una vera e propria esigenza alimentare, ma da una forte territorialità che lo porta ad assalire chiunque entri nel suo territorio di caccia, in particolare durante il periodo degli amori. Questo comportamento è spesso motivo di attacchi strampalati che si risolvono con l’uccisione dell’esca e, ahimè, non con l’allamata.
Non è raro ad esempio che il dentice morda esattamente al centro del corpo oppure sulla coda, evitando così gli ami; altre volte riesce con un sol morso a dilaniare il pesce esca senza dar modo al pescatore di ferrare. Da questo comportamento è nata l’esigenza di ottimizzare la traina con il vivo a lui destinata, per cercare di contenere un gran numero di attacchi a vuoto.
Abbiamo soprannominato a “sentita” l’evoluzione della traina con il piombo guardiano, che, alla luce dei fatti, sembra essere quella che dà i maggiori risultati. Il concetto di base parte dalla conoscenza del fondale e di conseguenza dalla passata da far fare alle esche. Questo non significa che la nostra azione di pesca dovrà essere concentrata in una zona limitata, ma almeno ci faremo una chiara idea della conformazione del fondale, delle cigliate e della secca in generale.
Per ottimizzare questa tecnica è necessario utilizzare canne lunghe, flessibili e di potenza non superiore alle 16-20 libbre. Il mulinello dovrà, insieme alla canna, sopperire alla rigidità del multifibre, che sta alla base di questa tecnica. Questo materiale, infatti, offre dei vantaggi enormi, ma anche dei problemi non indifferenti. Si utilizza multifilamento da 30 libbre, che ha un diametro sottilissimo consentendo di affondare le esche senza problemi anche con piombi leggeri, nell’ordine di 250/350 grammi. La totale assenza di elasticità permette di avvertire in tempo reale la toccata del dentice e di ferrare immediatamente trasmettendo il colpo dalla canna agli ami in tempo reale. Ma è proprio l’assenza di elasticità a trasformare il tutto in handicap, in particolar modo per chi non conosce bene questo materiale. Al contrario del nylon, che con la sua elasticità permette qualche errore di frizione e di pompaggio, il multifibre non perdona sbagli o dimenticanze varie. Ne consegue che il recupero di una preda va eseguito con la frizione molto più lenta rispetto al nylon, tenendo ferma la bobina con la mano durante la pompata ed allentando immediatamente quando il pesce chiede filo. Il multifibre va collegato al terminale mediante una girella che possa scorrere agevolmente nei passanti della canna, a tale scopo è sempre preferibile scartare le carrucole ed orientarsi sui passanti ad anello. Il terminale, lungo circa venti metri, si compone con 15 metri di nylon dello 0,50 e 5 metri di fluorcarbon dello stesso diametro, per avere ancor meno visibilità nella parte finale. I due spezzoni di filo si possono collegare con uno dei tanti nodi di provata efficacia. La pesca si effettua rigorosamente con la canna in mano o a strettissimo contatto visivo con essa. Molto spesso infatti, il dentice ci concederà una sola possibilità di ferrare e la disattenzione potrebbe essere fatale. Per avere una maggiore sensibilità durante la traina, si può tenere due dita sul multifibre che esce dal mulinello, in modo di avvertire anche le vibrazioni dell’esca negli attimi precedenti l’attacco del dentice.