In questa guida spieghiamo come utilizzare il murice come esca nel surfcasting
Nella storia del surfcasting, in Italia, quest’esca ha diviso gioie e dolori con un’altra grande: il calamaro. Si può dire che agissero in coppia e comunque erano e sono tuttora esche che difficilmente mancano nel cestino di tutti noi. Le loro caratteristiche soddisfacevano qualsiasi esigenza e a distanza di tanti anni costituiscono ancora un validissimo binomio.
L’adozione di nuove esche non ha minimamente offuscato la loro validità anzi, ha confermato quello che tanti anni di esperienza avevano evidenziato. Solo la sardina, esca che merita un capitolo a se stante, è considerata importante allo stesso livello, ma torniamo alle esche specifiche e al boccone in particolare.
Risulta essere un mollusco appartenente alla famiglia dei muricidi e alla classe dei gasteropodi. È fornito di una dura e complessa conchiglia spessa anche alcuni millimetri, avvolta ad elica e secreta dal mantello, un ripiegamento della pelle che riveste il corpo. Nell’animale si distingue il capo, con tanto di tentacoli e sifone, e il piede, una notevole massa muscolare che costituisce l’organo locomotore. Lo stesso piede produce una formazione discoidale cornea (Opercolo) che chiude l’apertura o bocca della conchiglia quando tutto l’animale vi si ritrae. Il murice produce, anche mediante una delle sue tantissime ghiandole, un liquido incolore che ossidato in presenza di luce o opportunamente trattato, diventa rosso violaceo.
Già ai tempi dei Fenici questa sostanza si rivelò un’ottima tintura, tanto che fiorì un grosso commercio che portò gli stessi Fenici a fondare nuove città nel Mediterraneo occidentale per sfruttare questi gasteropodi. I murici sono prevalentemente carnivori e si nutrono soprattutto di altri molluschi (bivalve), dei quali perforano la conchiglia con una sostanza acida secreta da una ghiandola, e poi succhiano le carni per mezzo del sifone.
Il boccone si trova lungo il litorale sul fondo fangoso sabbioso e in primavera si avvicina alla scogliera per deporre una quantità impressionante di uova raccolte in un ammasso volgarmente chiamato spugna. Del boccone distinguiamo due specie, tipicamente mediterranee: il Murice brandaris e il Murex murex. Il primo ha la conchiglia giallastra provvista di lunghe spine coniche e un bordo che si prolunga notevolmente per dare asilo al lungo sifone. Al massimo della crescita può raggiungere i cm 9 di lunghezza.
Il Murex invece ha una conchiglia più massiccia di colore grigio-bruno con tonalità a volte verdastre.
Il prolungamento sifonale è breve e brevi sono anche le spine, o meglio, i tubercoli. Può crescere fino ad una lunghezza di cm 10. Ma per i nostri fini le carni delle due specie non presentano grosse differenze, continueremo perciò a parlare dei «due» come se fossero una sola specie.
Come abbiamo già detto, quindi, il boccone è un’esca specifica, che limita le possibilità di cattura soltanto a poche specie ed in particolare al sarago e ancor più all’orata. Risulta essere considerata un’esca internazionale perché largamente usata anche in altri Paesi.
Le condizioni di utilizzo, lo ripetiamo, sono quelle di mare poco mosso o mosso. L’innesco non presenta grosse difficoltà, a patto che si riesca ad estrarre il corpo del boccone dalla tenacissima conchiglia.
Per questa operazione è necessario un martello e una pietra liscia e dura che faccia da banco di lavoro.
L’operazione inizia con la mano sinistra che afferra la conchiglia per la «coda», immobilizzandola con l’apertura rivolta verso il basso a contatto con la pietra.
Con la mano destra si impugna il martello e si picchia energicamente sulla parte più grossa della conchiglia fino alla sua frantumazione. Dopo una sommaria ripulita e l’asportazione dell’opercolo il boccone è pronto per l’innesco. Gli ami adatti sono quelli compresi fra il n. 1 e l’1/0 e questo perché la sfera d’azione di quest’esca riguarda soprattutto la cattura di alcuni grufolatori come il sarago e l’orata. Ma il murice conserva queste caratteristiche solo se usato fresco. Una volta congelato e scongelato, diventa molto più morbido, perde le sue proprietà «specifiche» e diventa una perfetta esca «generica» che si adatta a tutte le situazioni ed è gradita anche dalla spigola, ma non dal grongo, l’unica preda che dimostra una tenace riluttanza verso questo «boccone».
Il murice, data la sua notevole consistenza, è un’esca che deve essere in qualche modo masticata e con lei, per conseguenza, anche l’amo che nasconde.
Questo pertanto deve essere robusto tanto da non essere frantumato dalla poderosa dentatura dell’orata. Va bene se d’acciaio, e storto con la punta ad artiglio d’aquila per favorire l’innesco.