Il polpo è sicuramente il cefalopode più conosciuto dei nostri mari. E’ facile imbattersi in lui anche a pochi metri da terra; è sufficiente uno scoglio, un riparo qualsiasi, un oggetto buttato in acqua per attirare la sua attenzione, ma sarebbe meglio dire la sua innata curiosità.
Nei nostri mari si trovano varie specie di questi ottopodi: il polpo comune (Octopus vulgaris), che ha i tentacoli uguali in larghezza e muniti di una duplice serie di ventose, la stringa o polpessa (Octopus macropus), sempre con due serie di ventose ma con due tentacoli più lunghi. Il polpo bianco (Ozoena aldovrandi), e il moscardino (Ozoena muscata) che hanno una sola serie di ventose sui tentacoli, il moscardino emana inoltre un forte odore di muschio, che ne fa un’esca ottima per coloro che si dedicano alla pesca al dentice con i palamiti di fondo.
Il polpo (Octopus vulgaris), con il suo corpo a forma di globo, con i suoi robusti tentacoli e con i suoi occhi allucinati, può suscitare a prima vista un senso de repulsione. La realtà è ben diversa, in quanto si tratta di uno degli animali marini più intelligenti. E’ ben capace di difendersi egregiamente e di catturare la sua preda, scegliendo la maniere più logica e più semplice.
Inoltre il polpo non è viscido e scostante come può sembrare a prima vista. Anzi, nel suo ambiente sommerso, è capace di giocare con la mano di un subacqueo che ha avuto la pazienza di saperlo accattivare.
Purtroppo i nostri rapporti col cefalopode si limitano alla pesca e alla “fabbrica dell’appetito”.
La “fiocina” è composta da un grosso e robusto pettine in ferro o in acciaio inox, i cui lunghi denti terminano con una aletta che ha il compito di trattenere il mollusco trafitto.
Sul ferro viene fermato un pesante manico di legno lungo tre o quattro metri.
Un altro strumento indispensabile per la pesca è quello chiamato specchio.
Si tratta di un largo cilindro in legno o in lamiera zingata, aperto da una parte e recante dall’altra un vetro fermato a tenuta ermetica. Immergendo la parte col vetro sotto la superficie e guardando dentro il cilindro, si ha una visione chiarissima del fondo e si può perciò trovare con facilità la nostra preda o la sua tana la quale, davanti all’ingresso è ornata da una serie di conchiglie vuote, disposte in modo da attirare gli incauti curiosi. Se l’amico è in casa, basta legare un gronghetto morto ad una lenza zavorrata e calarlo fino davanti all’ingresso, tenendolo in movimento. A questo punto il polpo, spinto dalla fame e dall’istinto predatorio, farà dapprima uscire uno o due tentacoli, dopodichè uscirà completamente e si avvinghierà al gronghetto per mangiarselo in santa pace. A questo punto, un rapido colpi di fiocina, pone fine al banchetto a alla vita del polpo che, appena trafitto, deve essere portato subito in superficie senza dargli modo di attaccarsi con i tentacoli allo scoglio, dal quale sarebbe veramente un’impresa riuscire a staccarlo. Poi sarà necessaria tutta una serie di mazzolate, per ammorbidirne le carni. Ciò fatto, una volta a casa, i modi di cucinare il nostro gasteropode, sono infiniti e tutti molto appetitosi. Si può infatti lessarlo e condirlo con olio e limone, si può cuocerlo in umido e infine si può unirlo ad alri pesci per preparare un ottimo cacciucco alla livornese.