Molte volte, andando a palamiti, è successo di tirare su il nostro attrezzo e trovarci dei pesci divorati in parte o del tutto. E’ sempre un’amara sorpresa: lavoro e fatica buttati via! Da questo evento che a prima vista può sembrare negativo, è nata l’idea di creare un “qualcosa” che trasformasse la sconfitta in una vittoria. Vediamo come.
Quale pesce, ci chiedevamo, si faceva dei bei pranzetti non curante delle nostre attenzioni ed aspettative? Non poteva essere il polpo che in genere per prima cosa mangia la pancia dei pesci; neanche poteva essere la seppia che invece comincia a mangiare la propria vittima dalla testa. Cos’altro allora? E’ stato per un bel rompicapo. Alla fine scartando altri tipi di pesce e basandoci sulla nostra esperienza in mare, abbiamo pensato ai calamari. Il tempo ci ha dato ragione. Se il palamito a galla -che era quello dove solitamente trovavamo i pesci divorati- attirava i calamari, perché allora non cercare di catturarli? L’idea del palamito ai calamari è di fatto una variante di quello a galla, con al posto degli ami delle totanare. L’idea nella pratica ha dato subito ottimi risultati. Quello di cui stiamo parlando una palamito che va usato d’inverno, nei mesi di novembre, dicembre, gennaio fino a marzo, quando le giornate sono più fredde. Il vento di tramontana poi, che muove il mare con onde a spruzzo corte, offre una condizione ideale per la pesca ai calamari. Si sistemano due segnali luminosi alle estremità con due mazzere per l’ancoraggio e si cala al crepuscolo o meglio nel pieno di ser”. Certo è duro andare in mare in queste giornate, ma cerchiamo di non lasciarsi scoraggiare dal freddo perché i risultati potranno ripagarci dei disagi . E’ bene uscire assieme ad altri amici, perché così ci si diverte di più e le operazioni risulteranno più agili se divise fra i partecipanti. Infatti, la strategia di pesca prevede diversi “movimenti”: dallo sgancio dei moschettoni, alla sostituzione della totanara innescata, al recupero del calamaro.
Questo palamito non è molto conosciuto, per questo non viene molto usato, ma gli accorgimenti che nel corso del tempo abbiamo apportato, aiuteranno ad usare con disinvoltura uno strumento efficace e valido, soprattutto sui fondali di sabbia e di posidonia, ma anche nelle “fossate”. Quando poi è il periodo della “mossa”, i calamari attaccano in branco e con voracità le esche. Le totanare vengono prese letteralmente d’assalto. Per questo è bene portarci dietro un bel po’ di esche da utilizzare in caso di sostituzione veloce di quelli divorate. Poi non è insolito che mentre tiriamo su da una parte, dall’altra il calamaro mangia e scappa via. Poiché questo tipo di palamito va continuamente scorso, si disperdono numerose esche . In questo caso gli amici si dimostreranno utilissimi nell’aiutarci . Soprattutto, come abbiamo detto, nell’occasione della “mossa” (che non dura ahimé tanto) alla quale segue un periodo di stasi. Approfitteremo di questo momento per sostituire le esche mangiate -boghe, i sugarelli e i piccoli paraghi le migliori- o divorate in attesa che i calamari tornino in branco. Comunque è importante che siano sempre fresche. Questo palamito è costruito con delle natte (una sorta di galleggianti) che affondano sotto la superficie dell’acqua anche di mezzo metro, quando i calamari sono rimasti allamati. Se va così a fondo vuol dire che il calamaro è di discrete dimensioni. Le natte, poi, servono ad esercitare anche una certa trazione nello scorrimento palamito, in modo da trattenere le prede allamate. E’ solo quando vedremo andare giù e risalire il galleggiante che dovremo procedere con la barca lentamente e stare pronti a salpare. Bisogna recuperare in maniera costante, senza dare strattoni bruschi al palamito e tenere sempre a portata di mano un guadino che servirà per raccogliere con una certa tranquillità i cefalopodi. Poiché le operazioni di scorrimento e sostituzione delle esche, devono essere svolte in maniera assai veloce, è indispensabile portarsi dietro dei braccioli già preparati da sostituire velocemente grazie ai moschettoni da unire al filo “madre”.
Per questo palamito useremo delle totanare al posto degli ami, ma sostanzialmente la costruzione è simile a quella del palamito a galla. Le totanare dovranno essere saldate ad una bacchetta metallica lunga 20 centimetri con un foro finale dove andrà inserito il filo da congiungere alla “madre”, per mezzo del moschettone. La “madre” sarà formata da spezzoni di filo di 10 metri ciascuno, che verranno uniti fra loro con un anello di metallo del diametro di un centimetro. Questo anello servirà sia per unire il bracciolo con la totanara, sia per unire il bracciolo con la natta di galleggiamento in superficie. Per la “madre” utilizzeremo una matassa di nylon del diametro dello 0,100, procedendo con l’inserimento dei primi dieci metri di filo nella cassetta per palamiti. Scorsi i 10 metri, legheremo l’anello di metallo. A questo fisseremo quindi il bracciolo per la natta, della lunghezza di 2 metri e mezzo, e il bracciolo della totanara di uguale lunghezza; quindi procederemo analogamente scorrendo altri metri di filo e unendo i braccioli fino ad esaurimento degli stessi. In totale risulteranno 30 braccioli. Il filo da usare per i braccioli sarà dello 0.50. I braccioi dovranno essere completi di moschettoni e precedentemente sistemati in anticipo e lasciati in barca per essere inseriti a completamento del palamito ovvero quando la “madre” viene calata in mare e si presentano di volta in volta gli anelli. Non conviene inserirli prima perché si potrebbero creare grossi grovigli.