Il progressivo innalzarsi della temperatura, e le giornate di sole tipiche di questo periodo favoriscono il rifiorire dell’attività trofica biologica dei substrati sabbiosi.
Questo fermento riporta sui fondali i nobili grufolatori, che non più inibiti dalle fredde acque si porteranno a tiro di canna, anche se non sempre saranno disposti ad abboccare con facilità. Se con estremi tempestosi di onde e vento abbiamo dovuto convivere, altrettanto difficili saranno le condizioni di calma piatta. Sicuramente la battuta di pesca sarà più agevole e meno impegnativa, gradevole, rilassante forse fin troppo, ma in questi contesti le probabilità di catturare qualche bella preda sono subordinate alla nostra preparazione tecnica e al nostro cosiddetto senso dell’acqua.
La prima valutazione da fare è sulla scelta del luogo e del momento di pesca. Possibilmente i nostri tentativi saranno diurni, magari andando in pesca all’alba, e dovremo scegliere spiagge piccole e possibilmente nei pressi di conformazione rocciose. Questi hot spot, caratterizzati da correnti differenti che in spiagge aperte, avranno dei fondali quasi sempre “soffici” e che per antonomasia rappresentano il pascolo preferito soprattutto per mormore e orate e in un periodo anomalo come la primavera, riusciranno sicuramente a regalarci qualche sorpresa in più, anche perché oltre ai pesci di “passo”, potremo contare sulle prede stanziali che nei pressi delle rocce sono sempre numerose per la costante presenza di cibo in ogni condizione meteo e stagionale. Riserveremo i nostri tentativi sulle spiagge aperte, a meno di non avere riferimenti certi, tra qualche mese, quando le escursioni termiche tra giorno e notte saranno meno accentuate e i pesci effettueranno le loro escursioni giornaliere in maniera più costante e prevedibile.
La nostra attrezzatura di base sarà composta generalmente da due coppie di canne, con caratteristiche differenti: una coppia per la ricerca sulla lunga distanza, una coppia per il beach ledgering. Alternandole sonderemo il fondo fino a che non troveremo le zone di mangianza. Una volta individuato dovremo segnalare anche con un piccolo nodino con filo di cotone sulla lenza madre del mulinello, prima di recuperare il pesce, la distanza dove è avvenuta l’abboccata per avere un riferimento certo e rilanciare con estrema facilità nuovamente nello stesso punto. Questo stratagemma si rivela micidiale per le mormore che si nutrono e si spostano in piccolo branchi. In queste zone con fondale misto noteremo spesso che tra le macchie scure (roccia) vi sono spesso dei canaloni di sabbia di forma e dimensioni irregolari. Individuarli a vista con mare calmo non sarà difficile, e dedicare un preciso lancio con un boccone ben innescato al loro interno dovrà essere tra le prime cose da fare. Diamo la stessa importanza sia alle lunghe distanze sia al sottoriva, spesso a priori è difficile constatare quale soluzione sia migliore, soltanto una spiccata dinamicità ci consentirà di sfruttare al meglio le potenzialità di questi luoghi.
L’esca in assoluto più catturante è l’arenicola, sia per le mormore che per le orate. Una canna specifica con il bibi potrebbe essere la soluzione ideale per chi cerca il colpaccio, anche se ancora è meglio giocarselo con esche meno selettive. La innescheremo su ami del 10 a gambo lungo collegati ad un long-arm di circa 150 cm dello 0,16/0,18. Il piombo è preferibile sia montato scorrevole direttamente sullo shock leader, e successivamente al lancio porre le canne in attesa senza eccessiva tensione, anzi lasciarle quasi in bando potrebbe essere ancora meglio.
Le prede, come avevamo già accennato in precedenza, saranno per lo più mormore e nei casi più fortunati orate. Stranamente potranno capitare anche con regolarità bei saraghi, anche senza onde. La sensibilità nostra e degli attrezzi sarà indispensabile per notare le tocche più timide, non sempre dovute alla minutaglia… Il recupero delle mormore va fatto con la dovuta calma per evitare le slamature che possono essere frequenti quando questi pesci “mangiano male” , mentre l’incontro scontro con qualche irrequieta orata, specialmente su terminali sottili, va effettuato con molto sangue freddo, ponderando le azioni di canna e di frizione soprattutto al momento di spiaggiarla, quando sfodererà il meglio del suo repertorio di capriole e possenti testate che si scaricheranno sull’esile filo. E’ consigliabile camminare parallelamente alla battigia e accompagnare il pesce in secca dolcemente ormai sfinito. Qualche furibonda entrata in acqua per “agevolare” la cattura dovrà essere messa in conto, e non è detto che un guadino non potrà tornare utile specialmente nelle spiagge con un marcato gradino di risacca.