Le caratteristiche delle persone sono spesso accostate a quelle degli animali; così la furbizia si lega alla volpe e la memoria agli elefanti. Nel mondo marino gli accostamenti si ribaltano e assumano aspetti a volte cruenti, altri poetici: l’orca e lo squalo bianco diventano assassini, l’orata è la dea venere, la spigola una regina. Ma in fondo in fondo cos’è che ci porta a queste similitudini se non l’aspetto e il comportamento dei nostri amici, facendoli apparire ai nostri occhi non violenza o bellezza, ma pura, semplice, eccelsa mente pensante.
Pensare che i pesci pensino sembra un’assurdità bella e buona; ma se ciò non fosse perché allora i tonni passano sempre (più o meno massicciamente) negli stessi luoghi e nelle stesse stagioni e com’è che i calamari accostano nelle stesse identiche tratte di mare e alla stessa ora. Per non parlare poi della pesca: com’è che quando si usa un’esca nuova, passati i primi momenti di foga che possono durare anche qualche anno, per insidiare alcuni pesci occorre giocare d’astuzia perché iniziano a rifiutarla? Pare che sappiano che determinato cibo racchiude una insidia pericolosa.
Allora pensano? Si tramandano? e come si tramandano determinati insegnamenti? Forse, solo semplicamente “osservando” e capendo di conseguenza il pericolo? Mah! Ai posteri… In questo articolo ci soffermeremo a disquisire sul comportamento di pesci assai comuni nei nostri mari: i saraghi eterna passione dei popoli italici. Chi li conosce, ovvero chi tenta la loro pesca, capisce presto che tali pinnuti sembrano più “svegli”, per non dire più intelligenti rispetto ad altre specie, o piuttosto, a forza di frequentare porti, moli e bassi fondali rocciosi, sembra che non solo abbiano imparato a loro spese a diffidare degli esseri umani e delle loro insidie, ma anche a trasmettersi ereditariamente una sorta di “soglia d’allerta” di gran lunga superiore a quella di altri pesci più vagabondi e quindi meno a rischio di confrontarsi, anche più volte con un’esca.
Accettata questa ipotesi il rapporto fame/allerta si sposterebbe a favore di quest’ultima, il nostro boccone verrebbe rifiutato e noi ci consoleremmo pensando che i saraghi in quel posto non ci sono oppure non mangiano. E’ appunto una di queste cause che analizzeremo. Alcuni ricercatori americani hanno dimostrato che alcune specie di pesci, tra cui il black-bass ed il sarago appunto sono in grado di memorizzare molto bene.
Questo significa solo dire che, probabilmente, sono in grado di accettare o rifiutare una determinata situazione di pericolo prima ancora che vengano raggiunti certi livelli critici già in precedenza vissuti in prima persona o anche solo indirettamente. Se, ad esempio un giorno, pescando dalle rocce, riusciamo a catturare diversi saraghi, tornando il giorno dopo nel medesimo posto ne allameremo sicuramente meno e meno ancora il giorno successivo, pur rispettando le stesse condizioni di orario, stato del mare, esche ecc. Non li abbiamo pescati tutti… semplicemente si tengono lontano da quella zona per un certo periodo di giorni o si astengono dal mangiare le nostre esche. Sembra quasi che gli “scampati” o gli allamati ma non catturati del giorno prima siano in qualche modo in grado di trasmettere, ad altri, attraverso un codice non ancora identificato, che in quel determinato pascolo si nasconda un pericolo da non affrontare. Cosa possa avere in mente il nostro sparide in quel momento rimane un’incognita.
Ho provato ad immaginarlo, ma mi venivano solo in mente analogie con reazioni tipicamente umane riguardanti il timore di frequentare luoghi ove vi siano verificati fatti del tutto anomali. Non è mia intenzione, beninteso, umanizzare un sarago, però sta di fatto che per un bel po’ di giorni da quelle parti non è il caso di riprovare perché i “soggetti” si guarderanno bene dall’assaggiare lenostre esche. Potranno semmai ricadere nelle nostre insidie i più piccoli, i meno esperti, ma gli adulti, quelli coi denti gialli, ben difficilmente si faranno mettere l’amo in bocca. Cosa li ha allertati? Quali memorie? Ai posteri l’ardua sentenza. Nella pesca sportiva le eccezioni sono all’ordine del giorno, però, è consigliabile non andare a pescare due volte consecutive nello stesso posto. E’ sufficiente spostarsi di alcune decine di metri, cambiare punta o canalone in cui non aleggi l’odore della paura o chissà che per avere maggiori possibilità di successo. Tendenzialmente ci si affeziona ad una certa postazione, si conosce ogni pietra emersa e sommersa, si sa quali prede circolano da quelle parti e come insidiarle. Ci si sente insomma a casa… rinunciando così ad esplorare gli infiniti e promettenti settori che una costa rocciosa è in grado di offrire. Può essere un errore, pescando il sarago, soprattutto in condizioni di mare mosso, sia per quanto detto prima, sia perché il nostro molte volte abbandona i fondali profondi, dove siamo abituati ad insidiarlo a mare calmo, per andare allegramente a sguazzare in poche spanne d’acqua, nel bianco della risacca, alla ricerca di tutte quelle forme di vita che l’ultima onda ha rapito dal mondo delle terre emerse.