Risulta essere il primo calamento ideato per il surfcasting.
Vecchio di decine d’anni. lo «standard» è ormai soltanto un ricordo, ricordo al quale però si guarda ancora con molta ammirazione. Una specie di «vecchio saggio» ricco di esperienza che non è più capace di agire in prima persona ma che è un fermo punto di riferimento dal quale i nuovi calamenti hanno potuto attingere quella linfa vitale che è causa del suo declino. Un capitolo della storia che ha firmato un record nel «Guinness dei primati»: il cala- mento che con i suoi tre ami è risultato il finale più pesante del surfcasting. Ma vediamo la sua carta d’i- dentità.
Lo standard è un calamento con piombo finale e si compone di un trave che ha lo stesso diametro dello shock leader, generalmente mm 0,60, lungo all’in- circa m 1,50, nel quale vengono montati tre bracci di lunghezza e diametro via via crescenti man mano che ci si avvicina alla zavorra. Il primo bracciolo è lungo 15—20 centimetri, del diametro di mm 050. In fondo, vicino al piombo, su una girella a tre vie è montato il terzo braccio, uno spezzone di nylon lungo anche 50 centimetri del diametro di mm 0,60. Talvolta, se le condizioni lo richiedono, quest’ultimo
braccio può essere di treccia d’acciaio con un carico di rottura di circa 45 libbre. Naturalmente gli ami sono proporzionati ai braccioli per cui si parte da un amo n. 1 per il bracciolo più alto, fino ad arrivare al n. 3/0 per l’ultimo spezzone di nylon o treccia d’acciaio. Tutto questo po’ po’ di roba finiva in mare arricchito da tre esche che spesso e volentieri erano: una piccola trancia di calamaro per l’amo più piccolo, uno o due murici sgusciati per il secondo amo (l/0-2/0) e un bel trancione di muggine o un’in— vitante «coda di rondine» di calamaro per il 3/0 dell’ultimo bracciolo. Il risultato era quindi un «finale» piuttosto nutrito che non lasciava niente di intentato ma che impegnava al massimo il surfcaster per ciò che riguarda la gittata.
Le sue mire erano perciò rivolte col primo amo (esca generica) a tutto ciò che avesse più incoscienza che appetito e quindi piccole prede non ancora scafate tipo i giovani saraghi o i gronghetti attorcigliatutto. Il secondo bracciolo, forte di una lunghezza sufficiente e vestito con un’esca specifica, era in grado di ingannare anche le diffidenze dell’orata, il murice (in questo caso) faceva il resto. Il terzo bracciolo esaltava la genericità di questa paratura che, grazie alle sue caratteristiche, era in grado di confondere qualsiasi predatore, non ultima la spigola.
Effettivamente lo standard è un calamento in grado di compiere tutto ciò che in teoria gli è concesso e i lunghi anni di sperimentazione effettuati ce ne danno una conferma. Bisogna però aggiungere che le limitazioni intrinseche, spesso, non sono una con-dizione accettabile. Ed è proprio per questa ragione che lo standard, oggi, viene utilizzato solo in pochissime occasioni e comunque solo quando l’ultimo frangente è a pochissima distanza dalla battigia.
Ma perché, nonostante abbia immediatamente denunciato evidenti carenze in volo, questo finale ha continuato ad esistere per diversi anni? Il perché va ricercato nello spirito avventuriero e Soprattutto nelle spiccate doti di ricerca di questo calamento. Grazie a lui infatti è stato possibile mettere a punto una tattica di pesca che prevedeva lo standard in avanscoperta per smascherare il tipo e la qualità del pascolo in quel momento: tre braccioli e tre esche per tre prede diverse, questa in sintesi era la filosofia dello standard.
L’esca che per prima veniva sfiorata denunciava il tipo di pascolo e come pronta risposta, dopo la prima cattura, lo standard cedeva il posto ad un calamento specifico con un’esca specifica, adatta al tipo di preda catturata. Un ragionamento che non face- va una grinza, che lasciava poco spazio ad eventuali errori di valutazione, ma che non è riuscito ad evolversi col passare degli anni. Ed a niente e servita la cura dimagrante che ha visto lo standard passare dai tre ai due ami. Qualche metro guadagnato in volo non è stato sufficiente per arrestare il declino di questo finale. Lo standard è stato il calamento generico per eccellenza. Con i suoi tre ami era in grado di insidiare contemporaneamente diverse specie grufolatrici e una predatrice. Qualche problema di «grovigli», un inconveniente che capita spesso nel surfcasting, era evidente soprattutto a carico dei due braccioli più lunghi, ma solo quando la forza del mare era al di sopra dei limiti del calamento stesso. Per dirla breve, le migliori condizioni di utilizzo erano durante una mareggiata in scaduta con un frangente distante dalla riva non più di 80 metri.
Purtroppo lo standard non ha più un futuro, la sua «pazienza» spinge ad una pesca d’attesa che non si concilia col nuovo spirito del surfcasting. Tanto più che un altro calamento, il pater noster, occupa da tempo il posto che, forse, sarebbe stato coperto da un’attenta evoluzione di questo caro calamento standard.