In questa guida spieghiamo come conservare, trasportare e utilizzare i bigattini.
Mi è capitato, negli anni, di ascoltare un mucchio di storie che riguardano quest’esca per la pesca sportiva, molte delle quali si possono senza dubbio annoverare nella categoria “leggende metropolitane”, o, se si preferisce, “leggende marinare” visto che di mare si tratta. La più grossa baggianata che ho ascoltato sul conto dei bigattini è che i più accaniti pescatori di spigole, nelle rigide nottate invernali, solessero mantenerli al caldo tenendone una manciata in bocca, come se fossero mentine. Molto divertente. E tante ne ho sentite, come dicevo, fino a più verosimili fandonie, quale ad esempio quella che i bigattini lanciati in acqua come richiamo, una volta ingoiati dai pesci, proseguano la loro esistenza nutrendosi delle interiora di questi, come parassiti, e conducendoli in breve alla morte. Anche questa è una panzana bella e buona: tutte le volte che ho esaminato lo stomaco di una spigola, catturata solo anche un’ ora prima, non vi ho mai trovato un bigattino vivo; senza contare che i bachetti, nel momento in cui sono maturi per essere commercializzati come esca, hanno già smesso di nutrirsi e cercano solo di interrarsi per diventare pupe e poi insetti finiti.
Per sgombrare definitivamente il campo da ogni diceria, si potrebbero citare gli studi promossi dall’A.N.P.R.E. (Associazione Nazionale Rivenditori Produttori Esche) circa dieci anni fa e condotti con la supervisione scientifica dell’ Istituto di zoocultura dell’Università di Bologna. La sperimentazione condotta su pesci in vasca allevati a bigattini, nonché le analisi entomologiche hanno dimostrato la totale innocuità del bigattino per pesci ed uomo. Ciò non significa che essi non vadano usati con delle precauzioni igieniche, ma più che altro di carattere pratico. Le larvette in questione, infatti, se tenute troppo a lungo a temperatura ambiente, d’estate, emanano un loro tanfo d’ammoniaca ed una umidità di cui impregnano i sacchetti di tessuto che le contengono, rendendo spiacevole la loro vicinanza alle nostre nari.
a anche se asciutti e poco accalorati, i “fratellini” lasciano sugli indumenti coi quali il sacchetto di stoffa che li contiene viene a contatto un certo “non so ché” del quale si farebbe très volontiers a meno. Il rimedio che ho trovato a questo inconveniente è abbastanza semplice e s’è rilevato efficace, benché d’aspetto alquanto improvvisato. Si tratta d’infilare il classico sacchetto con tracolla che contiene i bigattini in una busta di plastica da salumeria, fissando i manici di questa alla tracolla del sacchetto con un paio di giri stretti di nastro isolante.
Anche se non si eliminano gli umori aromatici prodotti dai bachini, si evita così che di questi s’impregnino i pantaloni. Il valore aggiunto di questa soluzione è che nella busta di plastica trovano posto anche la fionda per pasturare (sul davanti) ed altra busta di plastica (sul retro) per il ricovero temporaneo e discreto del pescato.
“Che hai preso?”
“Niente.”
E intanto, mentre cammino verso casa, sotto il pancino porto una spigola di settecento grammi, ancora palpitante che, in capo a qualche ora, cucinata “all’acqua pazza”, vi finirà dentro, al sullodato buzzo.
Conservazione
L’ideale è tenere i vermetti in frigo a 3 o 4 gradi in vaschetta bassa e larga così come usano i rivenditori. Non possedendo un frigo dedicato alle esche si può usare quello domestico, se si fa molta attenzione nel seguire queste regole
-Lasciare i bigatti che s’intende conservare per pescata futura nel sacchetto di plastica dove li ha messi il negoziante, avendo cura però di cavarne fuori tutta l’aria, pigiandovi sopra con le mani ed al contempo , subito dopo, serrarne l’imboccatura tra la base di pollice ed indice, imprimendo poi una rotazione al malloppo che, attorcigliandosi, impedisce che l’aria vi rientri. Annodare strettissimo.
-Infilare il fagotto in una seconda ed in una terza busta, di quelle da salumeria, di buona consistenza.
-Deporre “l’uovo” nel cassetto degli ortaggi, senza dare troppo nell’occhio, per lasciarvelo una settimana al massimo.
-Se scoperti, negare di aver mai fatto tutto ciò, negare, negare sempre ;).
Dopo questo po’ po’ di trattamento, i bigattini ritornano arzilli come prima, se lo erano, e questo ha quasi dell’incredibile: al freddo e senza ossigeno hanno resistito anche dieci giorni. Sembrano morti, quando li si riporta alla luce, io stesso ogni volta dubito che si riavranno, nonostante la mia esperienza testimoni il contrario. Invece rivivono, basta lasciargli qualche ora di tempo arieggiandoli con un po’ di rimescolamento, ogni tanto. Non di rado m’è capitato di voler accelerare tale miracoloso risveglio, fornendo ai meschini aria calda proveniente da asciugacapelli ed ottenendo un buon miglioramento dei tempi, a patto però di non ustionarli (“…E che cacchio!” direbbero) e di tollerare che l’aere s’impesti delle loro “fragranze”, ‘ccidentalloro.
Trasporto
Risulta essere in macchina che i “bastardini” hanno la possibilità di farcela pagare, e bisogna stare attenti come se si trasportasse Hannibal “the Cannibal”, sul sedile di dietro.
Basterà un nodo mal fatto al nastro cucito all’imboccatura del sacchetto, e si passeranno le prime ore del mattino, anziché a pescare, a radunare i bigattini che in pochi secondi hanno colonizzato l’intera autovettura, infilandosi nei peli della moquette ed in ogn’altro penetrale gli venga a tiro.
Dopo una sudata ed inenarrabili nefandezze dette con la testa sotto ai sedili, si sarà riusciti a raccattare solo il trenta percento della “compagnia”.
Ve ne accorgerete alla prima bucatura, quando prenderete il ruotino di scorta dall’apposito vano diventato un sepolcro, oppure se ne accorgerà la vostra signora, quando tamponerà una Mercedes per scacciare un moscone bluastro dall’interno del parabrezza.
Innesco
Non si creda che pescare col bigattino voglia dire solo utilizzare il medesimo come esca. Al contrario vuol dire, in realtà, adottare attrezzature, tecniche e strategie delle quali il vermetto in sé è solo un elemento, quello che sta più in basso. Per quanto concerne le attrezzature, pescando col galleggiante, occorre canna ad azione medio rigida, piombatura lieve, finale lungo e sottile. La tecnica di pesca deve mirare a condurre l’innesco al centro della pasturazione ed in sincronia con questa. La strategia da adottare deve privilegiare le giuste condizioni ambientali, avvalendosi dell’intuito per la ricerca delle prede. La pasturazione con fiondata di bigattini, infatti, non ha potere di richiamo, se non a breve raggio od in situazioni particolari di corrente, ma svolge solo un effimero potere eccitante sui pesci presenti, questo secondo l’attuale esperienza di chi scrive. La spigola che sta facendo scomparire nelle sue fauci i bigattini che punteggiano il volume d’acqua nel quale sta nuotando avanti e indietro, poco si curerà se uno dei bigattini le appare (inevitabilmente) un po’ diverso: se lo risucchia in bocca insieme all’amo ed il gioco è fatto. Non mi stancherò mai di ripetere che l’amo deve essere piccolo; si prendono i pesci innescando tre, due od un bigattino soltanto.
Pasturazione
In dieci giorni di vacanza, e diciamo quaranta ore di pesca, m’è venuta una vescichetta sul polpastrello del pollice sinistro e, sull’altra mano, qualche livido alle nocche di medio ed anulare: rendo l’idea? Pochi bigattini scagliati con precisione sullo zenit dell’amo (non del galleggiante) ogni cinque minuti. Spigole, saraghi, occhiate, pesci stella e financo salpe gradiranno l’invito. L’ideale è pescare in assenza di corrente, di modo che un volume d’acqua circoscritto si punteggi di bocconcini che calano lentamente verso il fondo. Ai pesci dovrà sembrare che piova manna dal cielo. La situazione più favorevole in tal senso si verifica nelle acque interne di un porto, ma si può averla anche in scogliera. Ho calcolato che con acqua ferma, il bigattino libero affonda di un metro ogni trenta secondi circa. Col mare un po’ “arricciato”, invece, la pasturazione perde buona parte della sua efficacia, poiché la corrente ed il moto ondoso disperdono molto velocemente la “fiondata”. In questo caso si deve confidare sull’incontro diretto tra pesce ed innesco, magari rimpinguando quest’ultimo. Pescando a cefali su fondale piatto, invece, l’ideale è farcire di bigatti pallette di sfarinato, avendo cura di comprimerle bene con le mani inumidite.
Pesca
Se innescato correttamente il bigattino resta vitale, sott’acqua anche per venti minuti, a patto che non subisca attacchi da parte dei pesci. Ciò non vuol dire che bisognerà attendere tanto, se nulla accade prima. Il binomio bolognese/bigattino richiede un’azione di pesca dinamica ed attenta; controllare spesso lo stato dell’innesco è necessario, quindi, anche per sapere di eventuali attacchi non sfociati in ingaggio e quindi non segnalati dal galleggiante. Il caso è frequente, segnatamente quando si pesca col finale molto lungo. Può darsi che, mentre “sopra” tutto tace, “sotto” il bigattino sia stato morso, o ingoiato e subito risputato, finanche da una spigola, di istruzione universitaria, beninteso. Al controllo visivo ravvicinato si possono scoprire i segni di questi attacchi ed in tal caso bisogna , ovviamente, sostituire l’innesco. Dopo due pesci, anche piccoli, che vengono allamati, l’amo perde l’affilatura della punta, e non riesce più a penetrare l’epidermide della larva con faciltà, lasciandola pienamente vitale. È il segno che bisogna sostituirlo. Così come il bigattino va sostituito senza esitare dopo una ferrata andata a vuoto, poiché, per mia esperienza, la spigola non attaccherà di nuovo lo stesso bigattino: ne vuole un altro, e noi glielo daremo, siamo qui per questo, diamine.