Qualcosa nei nostri mari è ormai cambiato, adattarsi significa sfruttare a nostro vantaggio i nuovi equilibri della catena alimentare del sottocosta.
Vi è mai capitato di recuperare una mormora, o un qualsiasi altro pesce, nettamente mutilato dalla testa in giu? Avete mai ricevuto sulla canna un improvviso e violento strattone durante il recupero di una preda, concluso quasi certamente con la rottura del monofilo? Tranquilli, se la risposta è affermativa potete dire quasi con certezza di aver avuto a che fare con le mandibole ritenute fra le più potenti del mediterraneo, quelle appartenenti al pesce serra. La tropicalizzazione del mare nostrum, fenomeno lento ma inesorabile, ha portato molte specie di pinnuti proprie di altre latitudini a stanziarsi lungo le nostre coste. Questa nuova situazione ha sostanzialmente portato un cambiamento negli equilibri della catena alimentare del sottocosta, ponendo al suo vertice quelle specie di predatori, fra cui il pesce serra, che nei nostri mari non hanno trovato rivali o predatori propri.
I primi a riscontrare un radicale cambiamento nelle abitudini dei nostri “soliti” pesci sono stati i pescasportivi, che di anno in anno, in determinate situazioni, hanno notato la totale assenza di pesci in pascolo anche quando in teoria avrebbero dovuto esserci. Ciò è reputabile alla concomitante presenza di pesci come il serra, che con i suoi repentini e brutali attacchi nei confronti di grufolatori e pesci di mezz’acqua, crea uno scompiglio tale da indurre gli stessi ad allontanarsi sia dai soliti luoghi di mangianza che dalla portata delle nostre attrezzature.
A questo punto viene spontaneo chiedersi perché non sfruttare la situazione a nostro vantaggio? Perché non indirizzare le nostre mire alieutiche verso questi combattivi e sportivissimi predatori?
Detto… fatto! Andava ricercata una tecnica specifica, e quale migliore intuizione se non quella di presentar loro come esca ciò di cui vanno in cerca durante le loro scorribande, e cioè pesci vivi e guizzanti?
Ecco quindi concretizzarsi la tecnica della “pesca col vivo”, indirizzata ai nuovi predoni del nostro sottocosta.
I pesci esca di cui parliamo sono, in base alla collocazione geografica del luogo ed alla tipologia del fondale, aguglie, piccoli muggini, mormore, lecce stella, boghe, sugarelli, saraghi, gronghetti, anguille e tanti altri.
La scelta del tipo di pesce da utilizzare come esca dipende da vari fattori, fra questi sicuramente non ultimo è il suo grado di vitalità una volta innescato. A questo proposito abbiamo notato un’ottima resistenza all’innesco da parte del muggine, della leccia stella, dell’aguglia, e della mormora di taglia piuttosto generosa. Va rilevato che la vitalità del pesce-esca è di fondamentale importanza per la riuscita della battuta, difatti abbiamo personalmente visto dei serra pinneggiare attorno ai nostri terminali, studiando una leccia stella ormai moribonda che stavamo proponendo loro, e rifiutando sistematicamente di attaccarla una volta resisi conto della sua scarsa vitalità. Le tecniche specifiche elaborate per insidiare i pesci serra dalla costa sono sostanzialmente quattro: teleferica, galleggiante, palloncino e “lancetto”. L’elemento comune alle quattro tecniche elencate è il bracciolo terminale, che sarà di lunghezza variabile dagli 1,5 ai 2,5 metri circa, di cui gli ultimi 30-40 cm realizzati in ottimo cavetto d’acciaio dal carico oscillante fra le 18 e le 30 libbre, terminanti con una coppia o una terna di grossi ami del tipo a becco ricurvo, robusti quanto basta e ben affilati, di cui uno scorrevole ed uno fissato all’estremità del bracciolo.
Per i diametri della parte in nylon partiremo da uno 0,30 per arrivare anche a casi in cui l’utilizzo di uno 0,60 non sarà per nulla esagerato! L’amo fisso trapasserà i nostri pesci-esca sul dorso, poco prima della pinna dorsale, mentre quello scorrevole sarà fatto passare sottopelle alla fine della pinna dorsale, quasi in prossimità della coda. Attenzione però a non trapassare l’esca nella zona caudale, pena un movimento poco naturale in acqua del nostro inganno. Discorso a parte merita l’aguglia, per l’innesco della quale, l’amo fisso trapasserà la parte superiore del rostro, mentre quello scorrevole trapasserà l’ano per poi fuoriuscire in direzione della coda, in modo da non ledere gli organi vitali.
L’innesco del vivo va eseguito sempre tenendolo fra le mani bagnate o con l’aiuto di un panno inumidito con acqua di mare, in modo da non portar via dalle sue squame il muco protettivo, e sarà nostra massima premura effettuare un’operazione rapida e poco traumatizzante nei confronti dell’esca. Una volta effettuato l’innesco, si lascerà riprendere ossigeno al pesce immergendolo nuovamente nella “vasca del vivo”, consistente in un contenitore pieno d’acqua marina al quale viene applicato un ossigenatore a pile (in commercio a pochi euro). Certi della vitalità del nostro pesce-esca, passeremo alla fase successiva, la messa in acqua del complesso pescante, e questo è l’elemento differenziante fra le quattro tecniche sopraelencate. La teleferica è una tecnica che trova spazio e validità sulle spiagge molto profonde.
L’attrezzatura è semplice e consiste in un piombo collegato direttamente ad una lenza madre, con diametro dallo 0,30 in su, tramite una robusta girella con moschettone. Si lancerà il piombo ad una trentina di metri circa dalla battigia, ed una volta messa leggermente in tensione la cima, sarà applicato alla lenza madre il bracciolo di cui sopra (già innescato) tramite un moschettone con relativa girella che ne costituirà il capo terminale superiore.
Faremo in modo che il nostro bracciolo scorra in acqua lungo la lenza madre ed accompagni la nostra esca in zona-predatori. Favoriremo l’allontanamento dell’esca dalla riva attraverso il lancio di piccoli sassi, aiutandoci con la canna, o addirittura, laddove le condizioni climatiche e logistiche lo consentono, entrando direttamente in acqua! A questo punto non resta che attendere fiduciosi l’attacco del serra e, quando questo avverrà, dovremo recuperare il più velocemente possibile per portare il bracciolo a contatto col piombo terminale, in modo da poter ferrare la nostra preda e dare inizio al combattimento.
La pesca col vivo che prevede l’impiego di galleggianti piombati tipo muggine, è invece una tecnica facilmente adattabile a diversi ambienti come le banchine portuali, le scogliere e le spiagge a profondità media. Il terminale stavolta è direttamente collegato alla lenza madre ed avrà un diametro almeno pari a quest’ultima. Esso consiste in un galleggiante piombato da almeno 50 g del tipo a pera rovesciata, dal quale parte il solito bracciolo con parte terminale in cavetto d’acciao. I pesci da innescare stavolta saranno scelti fra quelli davvero resistenti agli stress fisici, dato che dovranno sopportare un volo che li porterà direttamente al cospetto dei predatori insidiati. Questa è la tecnica impiegata da Gaetano e Luca, due nostri lettori premiati per la loro costanza con un bel serra di oltre 4 Kg immortalato nelle foto del servizio, che ha gradito l’anguilla propostagli innescata con tre ami, di cui uno terminale fisso e due scorrevoli. Veniamo ora alla pesca con l’ausilio del palloncino. Questa tecnica si utilizza sulle spiagge basse, o quando l’esca deve essere portata a distanze più esterne, e per far ciò si sfrutta l’azione della corrente e del vento sulla superficie del palloncino, impiegato come una sorta di galleggiante “trainante”, montato poco sopra il nostro bracciolo collegato direttamente al termine della lenza madre con una robusta girella. Se i nostri predoni sono davvero ad un palmo dalla battigia, converrà allora lanciare, o meglio appoggiare direttamente in acqua il pesce esca. In questo caso il bracciolo sarà collegato direttamente alla lenza madre che terminerà con un piombo proporzionato al diametro della stessa, tramite un solido snodo perlina girella perlina. Provate ragazzi, perché ormai anche lungo le nostre coste, in certe situazioni, si respira il profumo di “pesca oceanica”, e difficilmente rimuoveremo dai nostri ricordi le emozioni che un grosso serra allamato riuscirà a regalarci.