Fino a qualche tempo fa, quando si parlava di pesca dalla spiaggia, l’unica cui si potesse far riferimento era il surfcasting; adesso, invece si può pescare in mille modi, tra questi, lo spinning.
Anni fa, il surfcasting si inserì prepotentemente fra le tecniche di pesca italiane con l’introduzione di canne e mulinelli specifici; rendendo molto più concreta la possibilità di catture ragguardevoli, aveva segnato una svolta decisiva rispetto alla tradizionale pesca da terra. Non solo mormore con la classica arenicola reperita direttamente in loco, ma, con la sarda ed altre esche che già incominciavano a fare le prime apparizioni sul mercato, arrivarono anche spigole ed orate di grossa pezzatura. Potendo regalare emozioni molto intense, tale pesca è riuscita a coinvolgere molti appassionati malgrado le condizioni proibitive come freddo, pioggia, mare mosso, buio pesto. Per chi invece non riusciva a sopportare queste condizioni ricorse ad alcune varianti più soft, dalle quali ha preso il via, nei tempi più recenti, il meno impegnativo beach ledgering. Tenuto conto dell’attrezzatura impiegata e della tecnica nel suo insieme, si direbbe che derivazione diretta del surfcasting sia pure la pesca con il vivo nelle due varianti di teleferica e palloncino.
Grazie alla presenza sempre più massiccia nei porti, nelle immediate vicinanze delle foci e della costa in generale, di predatori come lecce e pesci serra, anche lo spinning sta registrando, attualmente, una larga diffusione, sia col trasferimento in massa verso il mare dei pescatori d’acqua dolce, che con questa tecnica hanno già una certa familiarità, sia col l’aumentare dei neofiti che proprio in riva al mare incominciano a fare le prime esperienze di lancio. Per gli ambienti marini non si tratta, però, di una tecnica nuova quanto, piuttosto, di una graduale conquista d’altri spazi. Sia pure sporadicamente, già nei primi anni ’60 c’era infatti chi, previo necessario adattamento di canne e mulinelli nati per altri tipi di pesca, provava ad insidiare a spinning, qualche spigola in mare e soprattutto nelle immediate prossimità delle foci. Risale a quell’epoca, del resto, la comparsa, sul mercato, del primo artificiale ad hoc, il toby dell’ABU, che è rimasto l’unico per molti anni e che ancora oggi continua ad essere fra quelli di maggiore impiego.
Gli attrezzi oggi
Stanti le diverse condizioni che, rispetto ad un torrente, si vengono a creare a mare, una totale revisione dell’intera attrezzatura e qualche ritocco tecnico si sono resi assolutamente necessari. Tenuto conto delle distanze alle quali deve essere catapultata l’esca e della mole dei pesci che si vanno ad insidiate, occorrono, in primo luogo, canne un po’ diverse, più lunghe e più potenti di quelle che si adoperano nel fiume. Anche la tecnica è diversa in quanto non sono richiesti lanci precisi e calibrati, ma lunghe gittate che si possono ottenere brandendo la canna con entrambe le mani e facendola lavorare come se si trattasse di una leva; è la spinta che si riesce ad imprimere al pedone quella che fa guadagnare quel metro in più che qualche volta può essere determinante. Vengono utilizzati, ovviamente, mulinelli robusti con sufficiente capacità d’imbobinamento, in quanto già un serra od una leccia di un paio di chili possono creare non poche difficoltà in fase di recupero. Dopo le rime comprensibili incertezze, pure a mare la pesca a spinning ha finito per stabilizzarsi su degli attrezzi che riscuotono il consenso della generalità dei pescatori. Benché non manchino qualche telescopica e dei mulinelli poco adatti, sono una due pezzi di lunghezza variabile da 3 ai 3,50 metri, per pesi compresi fra i 15 e i 50 grammi, ed un mulinello di serie 4000, 5000 o 6000 quelli che trovano più largo impiego.
Le esche varianti
Quello che varia in continuazione sono, invece, le esche. Non solo per le comprensibili spinte commerciali, ma anche per l’obiettiva valenza che rivelano quelle che di volta in volta vengono immesse sul mercato. Nelle due versioni sinking e floating, per molto tempo è stato il famoso “testa rossa” l’artificiale che ha dato più soddisfazione; tale esca, oggi, è stata un po’ accantonata e sono quelle siliconiche e di gomma cui si preferisce affidare le proprie chance; già pronti all’uso od opportunamente modificati, sono vermoni e jig quelli che godono di maggior fiducia. Alla scelta dell’esca concorrono, ovviamente, anche altri fattori e, quando il pesce bisogna andare a cercarlo fuori, sono gli ondulanti metallici quelli su cui vale la pena di puntare.
Quando e come si pesca
A rendere interessante la pesca a spinning dalla spiaggia e a far la differenza concorrono, indubbiamente ed in maniera decisiva, la stagione, le condizioni dell’acqua, le maree e il cosiddetto “senso dell’acqua”. Senso che consente di intuire quale può essere, di volta in volta, la zona in cui staziona il pesce, la profondità a cui deve viaggiare l’esca ed il modo in cui questa deve lavorare e che, se non si ha, si può provare ad affinare cambiando in continuazione artificiale, zona di pesca (anche di soli pochi metri) e modalità di recupero, alternando, per esempio, accelerazioni ad improvvisi rilasci. Certo è che in questo tipo di pesca c’è ancora tanto da capire: non si spiegherebbe, se così non fosse, come mai dopo un’intera giornata di lanci a vuoto sia proprio il fatidico “ultimo lancio” a salvare dal cappotto o perché, non avendo altro da fare, dopo un caffé ristoratore ed un panino, mentre tutti gli altri sono andati a casa, si riesce, in due ed in meno di un’oretta, a portare a riva qualcosa come una quindicina di spigole! Ciò che si è capito e che a dare un senso a questa pesca è soprattutto l’insistenza: anche chi non ha una grandissima dimestichezza con acqua, canne e mulinelli, prima o poi riuscirà sicuramente a spuntarla se ha la pazienza di aspettare l’arrivo dell’occasione favorevole.