Il fascino del mare d’inverno è, a detta di tanti, del tutto particolare. Vediamo come affrontare un’uscita di pesca quando il termometro, e spesso anche il barometro, viaggiano a bassa quota.
L’uscita invernale ci pone nella situazione efficacemente descritta dall’espressione in uso nel meridione, quando, infagottati come un Angioino sul trono, dichiariamo di avere più vestiti addosso che nell’armadio.
Questo detto scherzoso l’ ho ascoltato spesso quando, nottetempo, parto alla volta di qualche gelida e deserta banchina. Il richiamo di una fede inossidabile ci spinge a presidiare il confine fra terra e mare in cerca di emozioni alieutiche, anche quando il comune “senso del pudore” lo sconsiglierebbe. In realtà il vero nemico della pesca invernale è il vento, in quanto crea un disagio notevole nella manovra della canna e fa derivare di continuo la lenza mandandola fuori pesca. Dal vento non ci si può proteggere mai efficacemente, bisogna solo subirlo.
Contro la pioggia, invece, il rimedio è tutto sommato semplice, basta munirsi di quelle economiche cappottone di tela gommata, il cui irrinunciabile accessorio è costituito dagli stivali di gomma.
La pioggia, peraltro, può essere a scrosci o sottile e alquanto continua: meglio il primo caso, anche se l’intensità può essere elevata. A questo punto diventa davvero una questione di buonsenso, passione a parte. In ogni caso col tempo perturbato bisogna porre grande attenzione ai fulmini, ed essere consapevoli che pescare durante un temporale significa rischiare la vita. Le giornate invernali sono generalmente avare di pesci ma per fortuna le eccezioni non sono rare: ricordo bellissime pescate di cefali “invernali”, per non dire della spigola, onninamente presente nei porti.
Vale quindi la pena di provare, usando la determinazione che non deve venir meno sotto il peso del disagio fisico.
Eccoci dunque in banchina prima dell’alba, come sempre intrisi, oltre che di freddo, anche di quella lieve trepidazione che è la magnifica overture del concerto per canna e cefali che vorremmo magnificamente eseguire. Con una situazione di mare mosso, l’acqua nel porto sarà quasi sempre ben velata o torbida. In questo caso possiamo adoperare una canna spartana, avvezza al disagio, che non tema un venti in bobina; da non fare la schizzinosa per il mulinello lordo di sarda o la frizione tenuta strettina. Forse gli toccherà salpare di peso qualche cefalo, e che sarà mai.
AMI E MONTATURE
Pescando con la “bolognese” potremo scegliere il classico finale a due braccioli (tipo “Y” capovolta), realizzati col monofilo del dodici / quattordici, aumentabile alla bisogna. L’amo è un gambo medio, curva larga, tipo il 410 Gamagatsu del 12/14. Questa montatura è quella adatta ai cefali.
Per le spigole, invece, il bracciolo unico con un intero filetto innescato al centro e posato sul fondo, sarà la giusta presentazione. In alternativa si può usare il finale unico con due ami montati a seguire, col quale innescare la sarda intera privata della testa, sempre adagiata sul fondo. In questo caso si può fare a meno del galleggiante, e ferrare sulla “partenza” della lenza.
Pescando in banchina, la postazione migliore è sempre quella tra i pescherecci, poiché lì è più frequente la pasturazione effettuata dai medesimi quando scartano il pescato.
PREPARAZIONE DELL’ESCA
La sarda fresca non ha rivali in questa stagione, poiché l’assenza di minutaglia ci consente di presentarla in maniera ottimale a cefali e spigole che, quand’anche poco attivi a causa della bassa temperatura dell’acqua sono, prima o poi, tentati dalla sua polpa morbida e succulenta. Avendo un po’ di tempo a disposizione, conviene preparare le sarde la sera prima, separando i filetti dorsali dal resto del pesce. Si procede in questo modo
-Si toglie la testa e, con l’indice introdotto nella cavità ventrale, si eliminano le interiora in un unico movimento “a grattare”.
-Partendo dall’attaccatura del capo, s’individua l’inizio della spina dorsale e si incunea l’indice tra questa ed il dorso, curando di estrapolare l’intera lisca.
-A questo punto disponiamo della sarda aperta “a libretto”. Con movimenti simmetrici dei pollici, separiamo i filetti dorsali, che ci appariranno evidenti nella loro conformazione di oblunghi cilindretti.
Tutte le operazioni descritte per ottenere i filetti, sarebbe opportuno effettuarle nella comodità della propria cucina, magari in un orario in cui non è frequentata da altri, ed avendo cura poi di non lasciarvi tracce “aromatiche”.
A tal proposito, ove i consueti detergenti non valessero a cancellare del tutto gli aromi ittici dalle mani, si verifichi l’efficacia della posa di caffè usata come pasta lavamani, seguita da un’altra “passata” con un po’ di dentifricio.
Va da sé che tutti gli scarti della lavorazione andranno conservati allo scopo di pasturare la zona di pesca.
A tale scopo può essere opportuno congelare la polta d’ interiora e teste in un sacchetto da freezer, avendo cura di mettere al suo interno un paio di piombi da cento grammi. Quando sarà il momento di pasturare, staccheremo la plastica dal malloppo ghiacciato e lo molleremo in acqua.
Come è facile immaginare, la zavorra inclusa al suo interno lo farà affondare dolcemente, mentre senza di essa la palla di ghiaccio resterebbe inevitabilmente a galla, essendo più leggera del suo corrispettivo volumetrico liquido. Il successivo scongelamento avverrà sul fondo, garantendo la concentrazione del richiamo in una zona limitata, proprio quella sulla quale caleremo il filetto innescato, rasentando il fondo.