Nella stagione fredda pescatori e pesci si diradano rapidamente dalle scogliere. Entrambi cercano riparo dal rigore del freddo, i primi tra le pareti domestiche ed i secondi nelle profondità marine dove gli strati superficiali del mare fanno da paratia stagna, mantenendo costante la temperatura dell’acqua.
Allora è tutto finito? Possiamo rimettere vie le nostre canne bolognesi fino a primavera? Non è proprio così, in questa stagione uomini e pesci hanno comportamenti simili: solo i veri duri rimangono in giro e, quando ci si scontra tra duri il divertimento è garantito. Certo che non è il caso di andare a pesca sempre, in ogni momento ed in ogni caso, ma sarà meglio ponderare con la massima razionalità le nostre uscite. Del resto abbiamo passato i mesi dalla primavera all’autunno a rubare il tempo libero a fidanzate, mogli e famiglia, trascorrendo al mare ogni momento libero (conosco un amico che nascondeva i vestiti e l’attrezzatura da pesca sotto uno scoglio per evitare polemiche casalinghe) che, un rallentamento dell’attività, non potrà che avere indubbi benefici sulla nostra vita familiare.
Che cosa significa razionalizzare le nostre uscite? Semplicemente che dobbiamo scegliere le condizioni del mare adatte per gettare le nostre esche in acqua. Impugnare la bolognese quando tira la tramontana con una temperatura media vicina agli zero gradi, il vento ti taglia le mani, le acque di qualunque tratto di costa tirrenica, anche il più inquinato, sono così limpide che possiamo osservare i nostri bigattini in tutto il loro percorso subacqueo, vuol dire perdere ore del nostro tempo, per allamare al massimo qualche piccolo cefalo sotto misura, quindi, da rilasciare; e se in estate, con queste condizioni c’è capitato di ferrare qualche spigola, in inverno, nemmeno un fluoro carbonio di diametro 0,06 ci salverà dal cappotto. Naso al vento, dunque, pronti a cogliere, scirocco, libeccio o maestrale che ci faranno trovare il mare agitato ed impastato e le condizioni ideali per pescare.
Io abito a sessanta chilometri dal mare ed ho imparato a cogliere i segnali giusti anche senza uscire: se, quando è chiusa, la persiana della finestra situata in cucina comincia a muoversi borbottando rumorosamente, i venti saranno meridionali ed il mare, come minimo, impastato. Il problema resta in quel “come minimo” perché quando arrivo, dopo aver percorso i suddetti sessanta chilometri, alla postazione di pesca prescelta, posso trovarmi di fronte sia ad una situazione ideale, piccola risacca che crea una promettente correntina, sia mare in tempesta con i moli spazzolati da onde impetuose.
In quei momenti dobbiamo sfruttare al massimo le conoscenze e l’esperienza incamerate nei mesi estivi, quando, in quei luoghi mi trasferisco ed osservo continuamente le correnti ed i loro mutamenti. Comincia così la ricerca dell’anfratto giusto, riparato da vento ed onde e sarà bene ponderare, con la giusta calma, le nostre scelte. Un quarto d’ora, che può sembrare rubato alla pesca, perso a guardare il mare cercando di capire la sua potenza, frequenza ed intensità, ci potrà evitare spostamenti in corso d’opera, cioè dopo mezz’ora di continui schizzi gelati ed aggrovigliamenti vari che ci faranno ritrovare galleggiante e finale in unico bozzolo pieno di nodi.
La ricerca deve essere lunga e meticolosa; bisogna, oltretutto, tenere presente che, non essendo il mare popolato da bagnanti durante il periodo invernale, le nostre prede si potranno spingere in luoghi assolutamente impensabili. Anche una buchetta con pochi centimetri d’acqua ci potrà dare immense soddisfazione, con le giuste condizioni di mare. In ogni caso, prima di pasturare e montare la canna, sarà opportuno buttare in mare alcuni bastoncini (si trovano facilmente tra i sassi in mezzo a residui di plastica, polistirolo ed altri loro indistruttibile derivati che eviteremo di gettare in acqua), che, con il loro movimento dovranno confermare o smentire la bontà della nostra scelta. Se saranno sbattuti a riva dalle onde, bisognerà spostarsi, necessariamente, in qualche altro luogo, ma, se invece, miracolosamente, si allontaneranno ondeggiando tra i flutti avremo finito il nostro peregrinare. Lo stesso percorso sarà compiuto dalla pastura e dal galleggiante che, prima o poi, dopo qualche “affondatina” interlocutoria, rimarrà dolcemente sommerso; “uno due tre quattro e cinque”, poi una ferrata lieve ma decisa e comincerà la lotta. Sapendo che si può perdere o vincere, rimonteremo l’intero finale (non leghiamo solo un amo nuovo poiché il nylon sarà sfibrato dalla precedente battaglia), pronti ad ingaggiare un nuovo ed emozionante scontro.
Sarà meglio capire cosa s’intende per lotta perché, a volte, venti minuti di fughe e recuperi non saranno sufficienti a stremare il nostro rivale, infatti, come dicevo nelle prime righe, solo i veri “duri” saranno rimasti in giro. Per questo motivo non sarà il caso di lesinare troppo sui diametri dei nostri finali, perché, anche il migliore e più affidabile 0,12 in circolazione, rischierà di rompersi, lasciandoci con la canna leggera, il morale pesante e la curiosità di vedere il nostro avversario.