L’orata, Sparus auratus, è il pesce che gli antichi romani avevano dedicato a Venere ed è la Dea del Mediterraneo, sia per il divertimento che procura la sua cattura e sia per la bontà delle sue carni bianche e saporite. Il periodo migliore per la sua pesca va da giugno a ottobre e le condizioni più favorevoli sono mare calmo o appena mosso, con marea crescente quasi al culmine, quando le acque sono ferme.
Anche nelle condizioni più propizie però, non esiste mai una certezza assoluta. Infatti dopo qualche bella cattura per alcuni giorni di seguito, può accadere di non prenderne nemmeno una. Tutto sta nel non lasciarsi scoraggiare dalle giornate nere e insistere malgrado tutto. Perciò diventa necessario andare a pescare il più frequentemente possibile, e rimanere in pesca per lunghe ore senza mai perdere di vista le canne. Ho parlato di “canne”. Infatti per aumentare la probabilità di catturare una bella orata, si deve esplorare una zona di fondale molto ampia.
Quindi occorre mettere in pesca almeno tre canne e lanciare le esche a fondo sopra un fondale sabbioso intercalato da gruppi di scogli piatti (il cosiddetto fondo “spartito”), che è il preferito da questi pesci con la fronte coronata di oro. Gli attrezzi devono essere del tipo medio-pesante, capaci cioè di lanciare dai 60 ai 120 grammi di piombo e le lunghe dai quattro ai cinque metri. Naturalmente i mulinelli dovranno essere in proporzione e cioè molto robusti, inattaccabili dalla salsedine e con buona capienza di filo della bobina che andrà caricata con almeno 150 metri di nylon dello 035-040. Al termine del filo viene infilato un piombo scorrevole a sfera o a pera da 40-80 grammi, a seconda dello stato del mare e della distanza alla quale si deve lanciare.
Quest’ultimo viene fermato al di sotto di una girella doppia in ottone legata al termine del filo di bobina e, tra questa e l’Orata, un tubetto di plastica lungo circa un centimetro funzionerà da salvanodo. Dalla girella si stacca il finale, composto da circa 150 centimetri di un buon monofilo super dello 0,25-0,30 e armato con un amo forgiato storto e con la punta rientrante del numero tre. L’azione di pesca è semplice. Dopo aver innescato l’amo con un’arenicola, con un mitilo intero sgusciato, o con un verme di sangue (il cosiddetto californiano), si lancia verso un fondale a sabbia rivestito da qualche ciuffo di posidonie.
Ciò fatto, si imposta la canna appoggiandola a uno scoglio (o mettendola sopra un portacanne se l’azione avviene da una spiaggetta), in modo che rimanga inclinata di circa 45 gradi rispetto alla superficie del mare; si mette poi la lenza in leggera tensione, si apre la frizione e si passa a mettere in pesca le altre canne.
Quando si avverte il vettino di una canna piegarsi un paio di volte e si sente il “cantare” della frizione che cede filo, si prende l’attrezzo in mano, si stringe il filo sulla canna in modo da poter ferrare anche con frizione aperta e si porta un ampio e deciso incoccio. Ciò fatto si lascia il filo libero di scorrere a piacimento, dando all’orata quanto spazio desidera, fino a stancarla. Quando infine si sente la resistenza diminuire quasi del tutto, si stringe un poco (mai completamente) la frizione e si recupera definitivamente la preda ormai stremata, fino al retino.