Pescare un balestra può essere considerato un evento del tutto occasionale. Preso un esemplare però l’intero branco si porta a tiro di canna. Per questo è il caso di “cogliere l’attimo” e adeguare la tecnica e l’attrezzatura a questi curiosi pesci.
Il pesce balestra (Balistes carolinensis) appartiene all’ordine dei Tetraodontiformi e alla famiglia dei Balistidi. E’ un pesce poco comune -anche se non raro- e il suo incontro in mare porta a catture multiple. La caratteristica a cui deve il nome, riguarda la prima pinna dorsale, sorretta da tre raggi spinosi. Di questi il primo è lungo quasi quanto la metà del corpo e, quando è eretto, il secondo si incastra alla sua base tanto che, se non si abbassa ad arte il secondo come se fosse il grilletto di una balestra, il primo rimane pericolosamente alzato.
In genere i balestra vivono in acqua profonde però, durante l’estate i soggetti più giovani si portano anche nelle acque costiere dove possono essere catturati. Pure essendo dei pesci che raramente superano il mezzo chilo di peso, la forza che oppongono alla cattura è sempre notevole e perciò come finale non conviene scendere sotto lo 0,25. La pesca ai balestra è quasi sempre occasionale, in genere si esce in mare alle prime ore che seguono l’alba a pesca di paraghetti per farne un ottimo piatto di frittura.
Se le catture si fanno desiderare, dopo qualche ora di tentativi infruttuosi si comincia a pensare di tornare a terra. Può succedere che ad un tratto si senta un colpo secco in fondo alla lenza e, dopo un bel po’ di lotta si riesca a portare in barca un pesce balestra o un “bocchino” come dicono dalle mie parti.
Questi pesci hanno un’abitudine curiosa. Quando ne viene preso uno, tutti gli altri componenti del branco si raccolgono vicino a quello catturato che si dibatte a mezz’acqua, e non lo lasciano fino a quando non viene tirato fuori dall’acqua. Comunque sia i balestra rimangono nelle immediate vicinanze e quando se ne cattura uno, si puņ realmente fare il pieno.
Per la pesca si usa una canna tubolare in fibra di vetro lunga due o tre metri e terminante con un vettino in fibra piena, la quale č in grado di opporsi validamente alla forte reazione di questi pesci.
Su questa si monta un mulinello leggero la cui bobina deve essere caricata con del nylon dello 0,25-0,30.
Al termine del filo si inserisce un biombo a pera da 35 grammi, fermato al di sotto da una girella doppia in ottone, dalla quale si stacca il finale composto da un buon monofilo super dello 0,25, lungo 50 centimetri e armato con un amo cromato storto del numero 10-9, innescato con un mezzo muriddu. Se fino ad allora si pescava direttamente sul fondo, lasciandoci portare dallo scarroccio, ci si deve subito ancorare per poter mantenere il contatto col banco dei balestra. Come accennato, pur essendo dei pesci che nei nostri mari si presentano relativamente piccoli , la forza che oppongono alla cattura è sempre notevole e, considerata la dentatura, come già accennato, conviene montare un finale abbastanza robusto. La carne dei pesci balestra per alcuni è commestibile e perfino raffinata, mentre per altri è tossica. Tutto questo non è possibile nei nostri mari perché l’eventuale tossicità del balestra dipende probabilmente dall’ingestione di una particolare alga assente in Mediterraneo In ogni caso, e secondo la nostra modesta opinione, quella carne è così leggera da non avere alcun sapore. Tanto è vero che dopo averla assaggiata cotta al vapore, abbiamo dovuto insaporirla con un sughetto “alla livornese” composto da pomodoro, aglio e prezzemolo. Malgrado questo accorgimento, anche se l’assaggiarla non mi ha provocato fenomeni incresciosi, quella carne non ha cambiato sapore e l’unica bontà è stata offerta dal condimento.
Come capita ad alcune specie tropicali, anche il pesce balestra una volta catturato, emette strani suoni del tutto simili a grugniti o al tipico modo di russare degli essere umani (da qui il nome roncador ovvero “russatore”). Per questo motivo in alcune regioni che si affacciano sul Mediterraneo viene chiamato “pesce porco”. La provenienza dei suoni è fonte di pareri discordi.
C’è chi dice che vengono emessi dall’apparato boccale provenienti dalle contrazioni della vescica natatoria, altri sostengono che deriverebbero dallo sfregamento di particolari cartilaggini, proprio come succede alle cicale.