Vediamo quali caratteristiche tecniche dobbiamo conoscere per praticare con successo la pesca a fondo mirata alla cattura dei classici pesci dei fondali quali, il sarago.
Tra le varie tecniche di pesca, una delle più praticate, vuoi per quantità di catture, vuoi per la radicata tradizione in tutte le coste della penisola- è la pesca al tocco.
La definizione nasce dal fatto che il pescatore capta il momento della mangiata direttamente dal movimento del cimino.
Per praticare questa tecnica avremo bisogno di una canna di circa quattro metri ad azione di punta. La vetta dell’attrezzo dovrà essere molto sensibile e lunga 60/70 centimetri circa; inoltre, dovrebbe esser costruita in fibra di vetro piena, che possiede caratteristiche di morbidezza tali da provocare buone flessioni anche sotto la modesta trazione della piombatura del finale. Affinché il tutto sia equilibrato con il resto della canna, la vetta dovrebbe esser corredata di piccoli anelli equamente distribuiti.
Chi non fosse in possesso di un attrezzo simile e non avesse voglia di creare modifiche su uno vecchio, potrebbe optare per l’acquisto di una canna da beach legering (normalmente più corta) che, oltre a contenere tutte le caratteristiche citate, offrirebbe il vantaggio dell’intercambiabilità delle vette. Normalmente, le canne da beach legering sono poste in vendita con tre e più vette di misure e dimensioni differenti.
A corredo della canna, inseriremo un mulinello di piccole dimensioni -ottimi il Full Control della Mitchell- imbobinato con monofilo dello 0.18/0.20.
Per la pratica della pesca a fondo dovremo attrezzarci anche di un portacanne, affinché la canna rimanga stabile e immobile; l’accessorio permette inoltre di usare più attrezzi pescanti che svolgeranno la loro azione in differenti tratti di mare. A causa della particolare diffidenza dei pesci che frequentano i fondali, come i saraghi, le mormore eccetera, i pescatori più accaniti, particolarmente quelli provenienti dalle acque interne, sono indotti a frequentare moli, banchine e foci alla ricerca della cattura “impossibile” e tutto, come al solito, si trasforma in una sorta di sfida: istinto contro astuzia e tecnica.
Appurato questo, vediamo come comportarci al meglio, senza lasciare niente all’improvvisazione. Inizieremo pasturando il tratto di mare in cui intenderemo calare le esche; per fare ciò, avremo due possibilità: la prima e la più “comoda”, ci porterà preventivamente in un negozio dove acquisteremo prodotti specifici (pastura); la seconda sarà di provvedere da soli alla creazione del “terribile” miscuglio di sapori e odori. A seconda della zona e quindi dell’abitudine dei pesci stanziali, faremo uso di due differenti composti. Il primo avrà come ingrediente base le sardine tritate; il secondo avrà come componente principale il pane. Ambedue dovranno contenere sfarinati amalgamanti al formaggio. Nel primo caso, acquisteremo due, tre chili di sarde e le passeremo in un apposito tritacarne, al prodotto che ne ricaveremo aggiungeremo lo sfarinato amalgamante al formaggio, facilmente reperibile nei negozi da pesca.
Nella pastura senza sarde useremo una certa quantità di pane raffermo appositamente macinato (normalmente intorno ai cinque etti), al quale aggiungeremo il medesimo sfarinato al formaggio; amalgameremo il tutto con l’aggiunta di poca acqua, fino al raggiungimento della consistenza desiderata; a tal proposito, pescando a fondo, l’amalgama dovrà essere piuttosto “solido” in maniera da arrivare integro e consistente sul “luogo di lavoro”.
Quale terminale
Il terminale più idoneo è quello costruito con piombo a scorrere (15/30 grammi) e composto di due finali a forcella armati con ami di misura variante dal 14 al 18 a seconda della grandezza delle prede presenti nella zona. Il monofilo del finale sarà dello 0.14-0.16.
Quali esche
La polpa di sardina ed il pane a treccia sono le più indicate, ma sarà bene avere con noi anche una scatola di tremolina e la pastella fatta con mollica di pane, latte e formaggio opportunamente lavorata in maniera da poterla innescare agevolmente anche su piccoli ami.
Fatto questo non ci resta che lanciare, mettere leggermente in trazione e… armarsi di pazienza. In attesa della fatidica piegata conviene controllare periodicamente lo stato dell’esca e provvedere all’occorrenza a cambiarla. Una volta che avremo il “pesce in canna”, non dovremo produrre strappi, ma assecondare le fughe fino al recupero, ponendo attenzione al momento in cui l’animale vedrà il guadino e tenterà nuovamente la fuga.