In questa guida spieghiamo come utilizzare la sardina come esca da pesca.
Come sapete si tratta di un’esca che ha fatto la sua comparsa nella serbidora dei surfcaster nostrani soltanto da poco tempo. Nonostante sia un’esca «povera», la sardina è l’unica che riesce a contrapporsi da sola al tradizionale sistema di pesca ad esche multiple. Quest’ultimo basa la sua forza sulla possibilità di sfruttare al meglio tutte le esche di cui disponiamo ed ottenere da queste i migliori risultati. In pratica si tratta di rendere specifiche tutte le esche anche le più generiche come il calamaro.
Evidentemente, il tutto nasce dal fatto che queste hanno i loro limiti e per ottenere il massimo da ogni situazione devono essere alternate a seconda delle necessità. Necessità sempre dettate dalle condizioni del mare, che possono essere più o meno turbolente, e da eventuali e particolari fenomeni locali. Ma a questo sistema tradizionale, sicuro e supercollaudato, si contrappone oggi un’esca, a torto e per troppo tempo dimenticata, capace da sola di notevolissime «performance»: la sardina, la più «volgare» delle esche che, pur ostentando insuperabili doti di «richiamo», non ha mai trovato la giusta collocazione nella nostra pratica sportiva.
Questo è dovuto al fatto che fino ad oggi non si era trovato il modo di sistemare la sardina sull’amo senza avere la paura che si staccasse durante il lancio. Forse, a dir la verità, qualche innesco era anche possibile, ma riguardava per lo più soluzioni intere, che comunque eliminavano le mille possibilità d’impiego nella sardina. Oggi possiamo finalmente utilizzare le sue tenere carni e farle volare a tutta birra senza il minimo problema di «tenuta». Anzi, se per caso il lancio non ci sembra azzeccato, possiamo permetterci il lusso di recuperare l’esca e ripetere alcune volte il tentativo fino a che non ci riterremo soddisfatti.
L’innesco
Si tratta di un innesco un po’ laborioso che prevede la «cucitura» dell’esca intorno all’amo. A monte di tutto si deve «sfilettare» la sardina servendosi di un coltello a lama stretta, lunga e affilatissima, ma prima ancora sarebbe meglio asportare la coda con un
paio di forbici o tronchesine. La sfilettata ha inizio qualche centimetro sotto l’opercolo (dipende dalla grandezza della sardina e da quanto grande deve essere il filetto per quel determinato amo) e continua per tutto il fianco e verso la coda finché il filetto laterale non si sarà completamente staccato. Stessa manovra per l’altro lato.
Abbiamo così ottenuto due filetti con l’avanzo della testa a cui è ancora attaccata la spina dorsale. Riponiamo da una parte la testa e prendiamo il filetto. Con la lama del solito coltello ripercorriamo l’incisione longitudinale che
divide in due la carne. Attenzione però a non calcare troppo la mano perché la pelle deve rimanere assolutamente indenne. A questo punto la materia prima è pronta per la lavorazione. Vediamo cos’altro occorre per preparare l’innesco: un rotolo di filo elastico di cotone (sempre il solito), un «ferro» del diametro di un millimetro circa, lungo 15 o 20 centimetri e, naturalmente, il bracciolo del calamento con il suo amo già attaccato. Per l’occasione adotteremo un amo che possa essere ingoiato facilmente con l’esca, del tipo dritto e a gambo lungo, in acciaio, della misura n. 4 come ad esempio i Marine405 della Browning. Il bracciolo fa sempre parte di un calamento mono-amo ed è costruito quasi esclusivamente in nylon da mm 0,35 a mm 0,50.
Prepariamo ora uno spezzone del filo elastico che ci servirà per assicurare l’esca all’amo. Poi, adagiamo il ferro sulla pelle della sardina assieme all’amo e parte del bracciolo. Ripieghiamo il tutto in modo da nascondere completamente il gambo dell’amo e leghiamo a mo’ di salsiccia tutto il filetto, con lo spezzone di filo che abbiamo già preparato, iniziando dall’estremità che nasconde l’amo. Mi raccomando non maledite quel ferro perché se all’inizio può sembrare ingombrante e superfluo, alla fine risulta essere assolutamente indispensabile e di una comodità insperata. Vi accorgerete infatti che sull’altra estremità del salsicciotto, per chiudere l’avvolgimento, avrete bisogno di una «presa» che la sardina non vi può dare e sarà quindi il ferro che per fornirvela fungerà come continuazione della sardina.
Ormai il gioco è fatto, bastano un paio di avvolgimenti col filo elastico e si può tranquillamente sfilare il ferro: il «salamino» è pronto. Questa però è solo la base del sistema sardina, l’innesco che più di ogni altro verrà scaraventato in mezzo alla turbolenza; però, come già detto, le sue possibilità sono moltissime ed alcune in particolare di non minore importanza come ad es. la testa della sardina e l’innesco «giorno e notte».
Quest’ultimo, a differenza di quello tradizionale che intende a mostrare la polpa per facilitare la propagazione degli odori, divide le chances degli effluvi con quelle offerte dalla luce. Si tratta di un salsicciotto formato da due filetti, acc0ppiati in modo che da
una parte sia visibile la pelle, dall’altra la polpa. Lo scopo di questo innesco e sfruttare anche la luce, riflessa dalla pelle, per attirare l’attenzione di qualche preda che magari si trova fuori rotta. E evidente che le migliori chance si avranno prima del tramonto o all’alba e soprattutto con prede voraci come per esempio la spigola.
Rimane la testa che, come ricordate, abbiamo messo da parte in attesa di una qualche utilizzazione. Per fortuna questa non ha problemi di innesco; l’amo infatti passa attraverso l’occhio e spunta al centro del cranio in una presa sicura e a prova di lancio. E necessario un bracciolo più robusto (mm 0,40-0.60) e un amo non più dritto ma uno dei soliti e collaudati «artiglio d’aquila» come ad esempio i Mustad Beak qual. 9255 38 della misura compresa tra 1’1/0 e-il 3/0.
Naturalmente questa è un’insidia nata esclusivamente per i predatori ma, nel più sfortunato dei casi, rappresenta un ottimo brumeggio anche per i grufolatori.
In definitiva si può dire che nonostante appartengano alla categoria delle «generiche», e cioè a quelle esche che appetite da tutti i pesci si adattano a qualsiasi stato di turbolenza del mare, la sardina rappresenta un capitolo a sé stante. In poche parole c’è generica e generica, questa ha la quinta marcia, le altre no! Il suo punto forte è l’elevato potere di richiamo, infatti la sua azione attrattiva è di gran lunga superiore a tutte le altre esche. Non dimentichiamo che le sue carni sono di solito preferite ad altre «basi» per preparare qualsiasi brumeggio. Fortunatamente il suo costo è abbastanza limitato ed è reperibile sui banconi di tutti i mercati; poco importa se al suo posto troveremo qualche altro componente della sua famiglia. I Clupeidi infatti sono presenti nel Mediterraneo in ben cinque specie ed è abbastanza facile confonderli tra di loro.
Potendo scegliere, però, le nostre attenzioni ricadranno sempre sulla sardina vera e propria (Clupea pilchara’us), che gode della nostra e della «loro» preferenza in virtù della gustosità delle carni e delle dimensioni solitamente ottimali per l’innesco.
Usata come sistema di pesca e quindi come esca principale la sardina raggiunge il culmine dei suoi «poteri» nei mesi in cui l’acqua è più calda e quindi per la nostra stagione di pesca, settembre, ottobre, novembre, dicembre, ma può sortire ottimi risultati anche a gennaio.