Nei porti, accanto a specie pregiate come spigole e orate, si trovano altri pesci comuni come boghe, latterini, muggini, sparlotti e altri la cui pesca non presenta grandi difficoltà. In questo articolo parleremo della cattura dei “poveri”, ma belli del nostro mare, i ghozzi.
A proposito dei pesci comuni, sarà utile dire qualcosa sulla loro pesca, perché sono proprio essi i predestinati a colmare i cestini dei pescatori che frequentano le banchine portuali e perfino quelli dei partecipanti alle gare di pesca in mare. Il ghiozzo vive sul fondo in vicinanza della parete verticale dei moli, nonché nelle buche delle dighe esterne stese a loro protezione. I ghiozzi più frequentemente catturati nei porti sono il paganello (Gobius paganellus L.) il quale presenta il dorso di colore giallastro a macchie brune, mentre i lati e il ventre sono più chiari. Nei porti si può trovare anche il ghiozzo nero (Gobius niger jozo L.), lungo fino a 25 cm, il cui habitat abituale però è offerto dai fondali detritici.
Il nutrimento di questi pesci è rappresentato da anellidi, crostacei, molluschi e uova di altri pesci. L’attrezzo ideale per la pesca in vicinanza delle banchine oppure nelle cavità sommerse della scogliera esterna, è una leggera canna fissa in misto carbonio (la grafite pura sarebbe sprecata) lunga dai 4 ai 6 metri e a stratta azione di punta; meglio se fornita di un cimino in fibra piena molto sensibile e colorato in arancio fluorescente o giallo cromo, in modo da segnalare in maniera ben visibile l’attacco del pesce. La lenza è composta da uno spezzone di nylon super dello 0,16 – 0,18, lungo circa un metro meno della canna e terminante con un semplice cappio per l’attacco del finale.
Quest’ultimo, nella sua forma più semplice, è formato da 50 cm di un buon nylon super dello 0,12 – 0,14, ed è armato con un amo cromato Mustad – Qual. 221 – del numero 16 – 14. Sul filo viene infilato un piombo scorrevole a sfera oppure a pera da 5 – 10 grammi, il quale va fermato a circa 10 – 15 centimetri sopra l’amo con una piccola mignonette. Volendo si può aggiungere un secondo bracciolino lungo 8 – 10 centimetri e armato con lo stesso amo, legandolo sul finale a circa 20 centimetri sopra il piombo.
La pesca al ghiozzo in definitiva è una “pesca di buca”. L’azione è semplice. Si cala la lenza fino a far toccare il piombo sul fondo. Si alza la canna sollevando leggermente la zavorra, in maniera che il cimino rimanga appena piegato, segnalando così più chiaramente le abboccate. L’attacco del pesce è sempre deciso e l’unica difficoltà è quella di scegliere il momento giusto della ferrata. Però con un po’ di pratica, quasi tutti riescono a farsi la mano.
Se le toccate si fanno aspettare, il che avviene con maggior frequenza quando la pressione atmosferica tende a diminuire, conviene stuzzicare la cuirosità e l’appetito dei nostri amici alzando, abbassando e altenenando di poco la lenza in modo da mettere i bocconi in movimento. Se si decide di esplorare il fondo anche ad una certa distanza dalla base sommersa del molo o sul fondale sabbioso sul quale appoggia la diga, conviene usare una leggera canna da lancio lunga circa due o tre metri, munita di un cimino pieno in fibra di vetro molto sensibile. Il mulinello sarà del tipo leggero e la bobina deve essere caricata con un buon nylon super dello 0,18 in fondo al quale viene legato il finale con uno o due braccioli, appena descritto per la canna a punta. Anche in questo caso, la tecnica di pesca è facile. Si lancia a poca distanza dalla banchina e si aspetta che la zavorra e le esche e abbiamo raggiunto il fondo. Ciò fatto, si inizia un lento recupero fino ad avvertire l’attacco del pesce. A questo punto si ferra e si porta il ghiozzo allamato in secco sul molo.