Il long arm è un calamento monoamo.
La caratteristica di questi calamenti è evidentemente quella di possedere un solo amo e se ciò in un primo momento potrebbe sembrare un passo indietro, un dimagrimento del calamento, con conseguente diminuzione dei suoi poteri (specialmente quello attirante), niente paura, non è così! E ce lo ha dimostrato il long arm, il primo finale di questo tipo che al suo nascere è stato il principale artefice del declino del calamento multiamo per eccellenza, cioè lo standard.
Il «lungo braccio», questa è l’esatta traduzione letterale, è composto da un solo bracciolo che parte da un minimo di m 1,50 fino ad arrivare all’incredibile lunghezza di m 3. Solitamente è realizzato in nylon nei diametri compresi tra i mm 0,30 e 0,70; ma nei casi più difficili, per esempio quando si ha a che fare con prede fornite di denti taglienti, il nylon viene sostituito dal monocavo d’acciaio e, più frequentemente, dalla treccia d’acciaio con carico di rottura tra le 20 e le 45 libbre. Delle due estremità del long arm, una, quella che cattura, è munita di un amo la cui grandezza varia dal n° 4 al 3/0. Naturalmente le dimensioni dell’amo sono direttamente proporzionali al diametro del bracciolo per cui un amo n° 3/0 sarà montato sicuramente su un bracciolo di diametro non inferiore a mm 0,60, mentre un n° 4 andrà bene su un nylon del diametro di mm 0,30. Non altrettanto proporzionale alle dimensioni dell’amo è la lunghezza del long arm; questo, infatti, per evidenti problemi di lancio, arriva al suo massimo consentito (m 3) solo se accoppiato con ami di misura ridotta, sicuramente non superiori all’1/0. L’altra
estremità è agganciata alla terza via della girella che collega lo shock leader al piombo. Purtroppo, data la lunghezza di questo calamento è possibile andare incontro a fastidiosi grovigli. A tal proposito esistono alcuni accorgimenti. Uno è quello di dotare il calamento di una girella capace di scaricare le torsioni a cui è sottoposto, e vi consiglio quelle in acciaio perché le loro dimensioni contenute sono le uniche che offrono certe garanzie in tal senso. Altrimenti si può adottare il sistema «pig» che è composto da un paio di girelle doppie (ottime le Berkley Mc Mahon nichelate nelle numerazioni che vanno dal 7 al 4) riunite in un anello spaccato che fa da snodo per le tre vie.
Un altro piccolo segreto è quello di obliquare il lancio rispetto alla corrente. Così facendo il long arm si sistemerà in una direzione diversa da quella dello shock leader evitando il contatto fra i due, anch’esso causa di fastidiosi grovigli. In caso di corrente
obliqua sarà sufficiente lanciare dritto di fronte a noi, l’obliquità è comunque conservata e il long arm non si attorciglierà.
Ma facciamo un salto indietro e torniamo ai tempi in cui il long arm spiccava i primi voli. Allora in Italia non eravamo ancora specializzati, non esistevano tutti i calamenti di cui disponiamo oggi. Il lungo braccio divideva le sue notti con il decano dei calamenti da surfcasting, lo «standard». Anzi, era il suo secondo e sostituto; insieme hanno dato vita alla prima tattica di pesca della specialità. Ma le enormi qualità di questo primo calamento monoamo andavano rivalutandosi di notte in notte fino a guadagnarsi quello spazio che era occupato appunto dallo
standard. I vantaggi che offriva il long arm come capostipite della nuova generazione di finali (i monoamo) erano diversi. Primo fra tutti quello della gittata. Le distanze raggiungibili erano cresciute del trenta per cento, con evidenti vantaggi per la pesca.
Per i surfcasters si aprivano nuovi orizzonti, nuovi settori da sondare, nuove esperienze. Con un calamento cosi veloce si potevano affrontare anche i frangenti più lontani, quelli, per intenderci, che lo standard non riusciva a valicare. Inoltre preparare un long arm è una cosa semplicissima e veloce, uno spezzone di nylon un amo e via, il calamento è pronto. Però è solo quando arriva in acqua che il long arm dimostra le sue vere caratteristiche piscatorie.
La notevole lunghezza permette all’esca di muoversi liberamente ad ogni sollecitazione della corrente, anche quando questa è veramente esigua. Tutto ciò si traduce in un alto potere attraente capace di invitare all’assaggio anche la preda più sospettosa. Un altro vantaggio, tipico dei «monoamo», è quello di operare nel branco senza creare troppa confusione e scompiglio. Una sola esca, infatti, non richiama l’attensione di tutto il branco ma solo quella dei componenti più vicini ad essa. Gli altri, la maggior parte del branco, continueranno la loro «grufolata»
senza preoccuparsi del compagno che è rimasto indietro attirato da un’esca che si rivelerà tale solo quando il branco è già lontano. A questo punto il dibattersi della preda non spaventerà più i compagni che diventeranno nuovamente oggetto dei nostri tentativi. Ma se da una parte questa tardiva reazione è un pregio, dall’altra potrebbe essere un difetto. Per noi, infatti, è impossibile stabilire se c’è un pesce dall’altra parte della lenza, fino a quando questo non metterà in tensione tutti e tre i metri di lunghezza del long arm.
In questo lasso di tempo la preda non ferrata può benissimo slamarsi e fuggire, ed è pertanto nostra cura, appena si avverte la presenza di una preda, procedere immediatamente alla ferrata. Un altro preziosismo nato per «sensibilizzare» questo calamento è il long arm scorrevole. Naturalmente non pretendiamo di sfruttare le doti eccezionali del sistema scorrevole nel surfcasting, perché col mare mosso non possiamo tenere neanche cinque centimetri di lenza, ma soltanto la possibilità che le «tocche» vengano trasmesse al cimino della canna senza l’influenza ammortizzante di un piombo che qualche volta arriva anche a 250 grammi. In ogni caso, qualunque sia la fisionomia del long arm, il suo corretto utilizzo è oltre la linea dei frangenti, in tutte quelle circostanze in cui bisogna incentivare la mobilità dell’esca, ad esempio con mare poco mosso.
Il long arm è il calamento di gran lunga preferito per gli inneschi da predatore e solo un mare ai limiti della sopportazione può decretarne l’invalidità. Anche se può suonare strano questo finale è padre di un calamento a due ami, il bi-long arm. Ne parleremo per dovere di cronaca più che per necessità e proprio in questo spazio vista la stretta relazione tra «padre» e «figlio».
Si tratta di due braccioli aventi diametro e lunghezza differenti, amo diverso nella numerazione, ma una sola origine. Nascono entrambi dallo stesso occhiello della girella a tre vie e sono montati direttamente senza moschettone. Il segreto di questo calamento è che in mare viene trattato dalla corrente a seconda del suo peso, per cui ogni bracciolo avrà un suo campo d’azione. Evidentemente le condizioni d’impiego del Bilong arm sono quanto mai «scadute» con poca corrente e conseguente scarsa possibilità di grovigli. Risulta essere obbligatorio obliquare il lancio di almeno 40 gradi rispetto alla direzione della corrente. Normalmente il bracciolo più lungo (max cm 120/130), e quello di sezione maggiore, mm 0,50; l’altro, il più corto, ha un diametro di mm 0,40. Gli inneschi devono essere leggerissimi, max 1/0, completati con esche sia generiche che specifiche. A seconda dell’esca un bracciolo può essere dotato di ciao-ciao, meglio il più corto. Inutile dire quanto sia catturante questo calamento, mobilità e naturalezza sono le sue doti più spiccate, peccato che sia costretto a lavorare in condizioni che non sempre abbondano di prede. Ed è sempre per la stessa relazione che c’è tra long arm e bi-long arm che sempre in questo spazio parleremo del doppio long arm di superficie.
Un long arm lungo due volte tanto e cioè m 3. Rimane ancora da definire «di superficie» ed è presto fatto. Con un sistema galleggiante si avvicina l’esca alla superficie. Questo può essere un galleggiante tipo zatterino oppure un ciao-ciao un po’ spinto. Nel primo caso il galleggiante è montato a circa 80 centimetri dall’esca in modo che sollevi l’esca senza influenzarne la mobilità, nel secondo invece il galleggiante è inserito nelle carni dell’esca. In entrambi i casi il bracciolo sarà costituito da un nylon del diametro di mm 0,30-0,40. Entrambe le soluzioni sono l’ultima carta del pescatore sconfitto, una chance sconfortata da un mare quasi piatto che la maggior parte delle volte si rivolge a prede considerate delle fortunate occasioni che mai entreranno a far parte di quelle tipiche del surfcasting. L’occhiata è il maggior rappresentante. Sia ben chiaro che questi sono accorgimenti derivati da esigenze agonistiche e non proprie della nostra disciplina. L’esca più usata è ancora una volta la sardina o meglio il salsicciotto di sardina. Del resto è l’esca che si presta meglio all’innesco tipo ciao-ciao e in esordio abbiamo appunto detto che questo è uno dei sistemi per preparare il doppio long arm di superficie. In questo caso l’attacco al madre può avvenire tramite un moschettone con girella, consiglierei quelle in acciaio della Berkley, le dimensioni ridottissime danno garanzia di buon funzionamento senza preoccuparsi della tenuta visto che sono in acciaio.