Esistono situazioni particolari nella pesca da terra dove non sempre è possibile utilizzare il galleggiante come avvisatore di toccata. In tali situazioni si può ovviare solo effettuando una tecnica: la pesca al tocco.
La pesca al tocco rientra tra le tecniche specifiche da effettuarsi dalla riva. Infatti, sia operando dal molo che da una scogliera, viene naturale l’utilizzo di un galleggiante per poter fermare l’esca alla profondità desiderata. In taluni casi però la tecnica di pesca con il galleggiante non risulta sempre vincente, per cui dobbiamo cercare delle alternative, a seconda del tipo di situazione che ci capiterà di volta in volta.
La tecnica di pesca al tocco, tralasciando la classica pesca a lancio che più si avvicina ad un beach legering, viene effettuata in maniera diversa a seconda se si operi da un molo oppure da una scogliera.
La pesca dal molo
Quando ci capita di pescare da un molo, dove la profondità dell’acqua è superiore alla lunghezza della nostra canna, la pesca al tocco assume una particolare importanza. In questi casi si utilizzano canne (con mulinello) di lunghezza intorno ai quattro metri, delle quali l’elemento più importante sarà vettino.
Infatti, questa parte della canna sostituisce il galleggiante, ed è solo grazie alla sua oscillazione che potremo individuare le mangiate delle prede. Per tale tecnica si utilizzano due o tre tipi di vettini, a seconda delle condizioni di pesca dettate dalla profondità e piombature più o meno pesanti.
La vette, del tipo intercambiabile, dovranno essere di lunghezza oscillante intorno ai cinquanta centimetri, con azione più o meno sensibile.
Nel nostro caso saranno utili quelle in fibra di vetro pieno che si trovano in commercio nella versione multicolor. Il mulinello sarà di dimensioni medio-piccole, imbobinato con un monofilo di diametro dello 0,16/0,18 millimetri.
Alla madre verrà infine collegato il terminale: il classico a bandiera con il piombo terminale e due braccioli sovrastanti. Il diametro del finale varierà da uno 0,10 ad uno 0,14 millimetri, con due braccioli lunghi circa 15/20 centimetri, recanti due ami nichelati di numerazione compresa tra il 16 ed il 12. Il piombo infine sarà del tipo a pera, magari con girella incorporata, di grammatura tra i 5 ed i 20 grammi a seconda della profondità del luogo di pesca. Con tale tecnica si insidiano solitamente muggini, salpe, sparlotti, saraghi e tutti i pesci che vivono a stretto contatto con il fondo.
Risulta essere molto importante la pasturazione e la composizione del prodotto che getteremo in mare; nel nostro caso l’impasto deve essere compatto, in modo tale da arrivare velocemente sul fondo ed iniziare l’azione di richiamo. In commercio, ci sono le comuni pasture sfarinate al formaggio e le cosiddette “semiumide”, pronte all’uso senza dover aggiungere nessun tipo di liquido e acquistabili sia in secchiello che in sacchetto. Per esca conviene usare il pane francese, il fiocco di sarda, oppure le pastelle al formaggio.
Risulta essere anche molto valida la polpa di gambero o di scampo che garantisce una maggiore tenuta sull’amo.
La pesca dalla scogliera
Se da un molo la pesca al tocco è per certi aspetti di una facilità estrema, ciò non si può dire quando trasportiamo la nostra attrezzatura su una scogliera. Dobbiamo innanzi tutto specificare che, in determinati luoghi impervi, questa tecnica non viene effettuata per necessità, ma solo per nostro volere. Spieghiamoci meglio: il fondale sottostante una scogliera e in genere decrescente via via che si procede verso il largo, quindi mai talmente profondo da scartare l’utilizzo del galleggiante. Perciò, effettuare la tecnica di pesca al tocco significa ricercare i pesci a stretto contatto del fondo, perfino nelle buche tra gli scogli, dove solitamente si riversa la nostra pastura.
La pesca dalla scogliera
La pesca al tocco da una scogliera è simile a quella effettuata dal molo, ma in talune situazioni assume aspetti diversi. Vediamo quando. In primo luogo l’attrezzatura di base cambia in maniera radicale. La canna può essere indistintamente sia da punta che con anelli, anche se l’utilizzo di quest’ultima viene spesso scartato per il suo sovrappeso (anelli e mulinello). Una canna da punta è quindi preferita per la sua leggerezza visto anche che, nel caso specifico di una scogliera, siamo costretti a tenerla sempre in mano.
Servirà un attrezzo abbastanza lungo per operare a diverse profondità di pesca. Una 8/9 metri è sicuramente la canna ideale. Anche in questo caso la vetta assume la parte da leone, con il classico vettino in carbonio sdoppiato, che solitamente è in dotazione alle moderne canne in carbonio. La lenza madre sarà di diametro dello 0,16 poco più corta della lunghezza della canna e il terminale uguale a quello utilizzato per la pesca dal molo. Anche per l’esca e la pastura vale quanto detto in precedenza, ponendo però molta attenzione nel modo di pasturare. Sarà infatti obbligatorio pescare sempre dove viene gettata la pastura, sondando bene il fondale al momento di calare la lenza.
Sia pescando dalla scogliera che dal molo la tecnica di pesca è molto simile.
La prima cosa da fare non appena giunti sul luogo è pasturare, gettando in acqua, a distanza equivalente alla lunghezza della canna, almeno tre o quattro palle di brumeggio, grandi circa come un’arancia, quindi, monteremo la canna.
Applicato il terminale, lo faremo scendere sul fondo poggiando la canna al molo oppure tenendola in mano (dalla scogliera) e mettendo leggermente la lenza in trazione.
Le mangiate dei pesci saranno avvertite visivamente tramite l’oscillazione più o meno evidente (a seconda del modo di mangiare e grandezza delle prede) della vetta.
La ferrata dovrà essere pronta ed il recupero effettuato con calma, specialmente se utilizzeremo un terminale ultrasottile.
Non dimentichiamoci mai di continuare a pasturare con palline di brumeggio in maniera continua, dopo ogni calata ed anche durante il combattimento con la preda.
Risulta essere indispensabile procedere con questa strategia per mantenere il branco dei pesci a portata di lancio.